12- 13 agosto 2006
Parco del Gran Paradiso Alpi Graie
II° tentativo nel 2006 di salita al Granpà
Località
di partenza: Pont
Quota di partenza: 1960 metri
Dislivello: 770 metri (al rifugio V. Emanuele)
Difficoltà : E = (Escursionistico) percorso su sentiero o mulattiera ben
tracciati e segnalati. Richiede comunque attrezzatura adeguata e allenamento.
Area montuosa: Gran Paradiso alpi Graie
Valle: Valsavarenche
Rifugio Vittorio Emanuele (2.730 m)
Mappa - Mappa2
LA VALSAVARENCHE
Racchiusa dal massiccio del Gran Paradiso, la Valsavarenche confina con le Valli di Rhemes e Cogne, e alla testata con la Valle Orco con il piano del Nivolet. E’ attraversata dal torrente Savara, che si getta nella Dora Baltea nei pressi di Villeneuve (AO), dopo aver superato foreste e gole rocciose. Grazie alle sue caratteristiche, la valle è rimasta a lungo isolata; l’interesse turistico nei suoi confronti si è sviluppato solo a partire dall’Ottocento, quando il re Vittorio Emanuele II la scelse come meta prediletta delle battute di caccia, di cui era grande appassionato. Qui il sovrano poteva infatti dedicarsi alla caccia al camoscio e allo stambecco, diventati poi simboli del Parco Nazionale del Gran Paradiso, istituito nel 1922. Oltre che da camosci e stambecchi, le montagne della Valsavarenche sono abitate da aquile reali, gipeti e i più grandi rapaci alpini. Il territorio è estremamente vario, con ghiacciai e laghi alpini, che caratterizzano il paesaggio d’alta quota, ed è base di partenza per l’ascesa al Gran Paradiso (m 4061), l’unico 4000 interamente italiano.
La Valsavarenche è attraversata da una strada che dal piccolo comune di Introd, all’imbocco della valle, raggiunge Dégioz, a 1540 metri, ai piedi della Grivola e del Gran Nomenone, e arriva a Pont per terminare proprio alle falde del Gran Paradiso.
Il Parco
Nazionale del Gran Paradiso, primo parco nazionale istituito in Italia,
abbraccia un vasto territorio di alte montagne, fra gli 800 metri dei fondovalle
e i 4.061 metri della vetta del Gran Paradiso.
Il territorio del Parco, a cavallo tra Piemonte e Valle d'Aosta, si estende su
circa 70.000 ettari in un ambiente di tipo prevalentemente alpino. Le montagne
del gruppo del Gran Paradiso sono state in passato incise e modellate da grandi
ghiacciai e dai torrenti fino a creare le attuali vallate. Nei boschi dei
fondovalle gli alberi più frequenti sono i larici, misti agli abeti rossi, pini
cembri e più raramente all'abete bianco. Man mano che si sale lungo i versanti
gli alberi lasciano lo spazio ai vasti pascoli alpini, ricchi di fiori nella
tarda primavera. Salendo ancora sono le rocce e i ghiacciai che caratterizzano
il paesaggio, fino ad arrivare alle cime più alte del massiccio che toccano i
4.061 metri proprio con quella del Gran Paradiso.
Dopo il tentativo fallito a giugno riproviamo a salire alla vetta del Gran
Paradiso, un quattromila non troppo difficile ma comunque impegnativo.
Siamo in Cinque: Alessandro,
Marco, Luca,
Sabrina e Rossano.
Partaimo con l'auto di Marco perchè come dice Rossano è a Nafta e consuma di
meno, partiamo un pò sconsolati perché
le previsioni danno brutto tempo in tutta la penisola; ma ormai ci siamo e tentiamo
lo stesso.
rendiamo l'autostrada per Genova e successivamente per Voltri, Santià, Aosta.
Usciamo dall'autostrada ad Aosta ovest (prima uscita dopo Aosta verso il
Monte Bianco), poi seguiamo le indicazioni per Saint Pierre. Una volta sulla
statale, proseguiamo verso Courmayeur per un paio di Km fino all'indicazione, a
destra, per Valsavarenche. A questo punto proseguiamo seguendo quest'indicazione
salendo per circa 20 km fino al fondo della valle, dove c'è la frazione di
Pont. La strada è una normale strada asfaltata di montagna, la quota di arrivo
è a 1960 metri.
Pont Valsavarenche, una piccola frazione costituita da poche case e posta al
termina della strada carrozzabile, dotata di alcuni alberghi.
Qui troviamo Luca e Sabrina che sono partiti un giorno prima per farsi un pò di
vacanza, ci dirigiamo subito in un self service vicino e pranziamo. Rossano, in
prima fila e poi Luca e Sabrina sono un pò scettici del menù che proponiamo,
infatti insistiamo per stare leggeri prima della salita e mangiamo solo un
primo.
Lasciamo la macchina sul piazzale dove finisce la strada ci prepariamo per
l'escursione e via partiamo.
Attraversiamo il torrente Savara e imbocchiamo il sentiero n°1 per il Rifugio
Vittorio Emanuele, il sentiero è molto battuto e tenuto in buonissimo
stato.
Costeggiamo per un tratto il torrente nel pianoro
che conclude il vallone di Seyvaz
e dopo circa ottocento metri si sale in un bosco di larici per poi uscirvi
intorno ai 2200 m. Dopo alcuni tornanti in cui la mulattiera si fa più ripida
si raggiungono i resti dell'alpe La Chantè a circa 2300 mt e poi attraverso
praterie.
Stiamo salendo tranquillamente tra varie amenità e godendo dello spettacolo che
ci si pone davanti e pregustiamo già la bellezze che potremo godere quando
saremo più in alto, si molto più in alto perché noi almeno stavolta vorremmo toccare i
4060
metri del Gran Paradiso.
Però mentre saliamo il celo si fà sempre più minaccioso e a tratti nevica
anche, ma che dobbiamo fare, si va comunque poi vedremo.
Arriviamo in meno delle due ore indicate a Pont al rifugio, costruzione in metallo a
forma di mezza botte rovesciata
collocato al margine del laghetto di Moncorvè, visibile soltanto all'ultimo.
Ci presentiamo al gestore e ci da una camera abbastanza accogliente ma
forse un pò piccola per cinque.
Ognuno prende il suo posto e sistemiamo gli zaini e poi andiamo ad scaldarci al
sole che intanto si è fatto largo tra le nuvole e squarci sempre più ampi si
aprono sopra di noi.
Stiamo lì e discutiamo di come dovremo affrontare la salita e di come
utilizzare l'attrezzatura e ben presto ci chiamano per la cena che consumiamo
voracemente, da non dimenticarsi che siamo con un piatto di pasta dall'ora di
pranzo.
Ci attardiamo ancora un pò a parlare ma poi decidiamo che forse è meglio se
proviamo a dormire, sono le ventuno e ancora non è buio ma dobbiamo sforzarci a
riposare perché alle 03,30 la sveglia sarà inclemente.
OK tutti a letto, la notte passa tranquilla senza problemi di russatori o altro.
Io mi sveglio già prima dell'ora fissata, mi affaccio subito alla finestra
e vado subito alla ricerca di qualche stella.
Quale buon aspucio di vedere una stella cadente ci poteva essere? Un pò di
stelle ne vedo, una era una stella cadente e per di più su in alto sulla morena
gia si stanno arrampicando, alcune lampade frontali accese me li indicano.
"Forza svegliatevi pelandroni andiamo a fare colazione e via
partiamo" Si infatti appena pronti ci accingiamo a partire.
Si parte alla luce delle pile frontali si sale in direzione Nord Est. Il
percorso si snoda tra grandi massi che si superano seguendo gli omini di pietre
e la traccia di sentiero.
Mi sento molto bene e salgo agevolmente, sono proprio contento mi sento
che non avrò problemi a conquistarmi questo 4000. Seguo la traccia e gli
"omini " il problema è che ce ne sono ovunque e mi accorgerò poi che
vi sono diversi itinerari da poter seguire, va be! io vado a finire sulla
traccia che porta sulla cresta di una morena e la percorre tutta sino ad una
parete.
Purtroppo a questo punto c'è una prima defezione da parte di Sabrina e Luca,
non se la sentono di continuare e preferiscono tornare in dietro. Mi rammarico
per loro ma io questa volta sono determinato a salire.
Giunti alla base della parete anche Marco dice che non sta bene, accidenti
se sta male anche lui poi non possiamo lasciarlo solo e va a finire che dobbiamo
rinunciare anche stavolta; comunque non sembra che stia poi così male o forse
non volevo accettare che stesse male e decidiamo di andare avanti.
Vi sono altri omini alcuni che indicano di salire altri di scendere e
quali dobbiamo seguire? restiamo un pò li e poi decidiamo di scendere in quello
che non molto tempo fa era ghiacciaio e che ormai inesorabilmente si è
disciolto.
Attraversiamo la caldera e ci dirigiamo verso quello che adesso è l'attuale
ghiacciaio, scendiamo e risaliamo, quando siamo a pochi passi dalla lingua di
ghiaccio, a quota 3200, dove avremmo dovuto metterci i ramponi noto che Marco è
in seria difficoltà, barcolla e a conati di vomito, accidenti è proprio il
classico mal di montagna, stavolta a beccato lui che ne a già fatti molti di
quattromila.
Lui da principio vorrebbe continuare per non farci fallire anche questo
tentativo ma non è proprio in grado di continuare inoltre adesso lamenta anche
dolori in tutto il corpo.
Rossano vorrebbe accompagnarlo lui e mandarmi me a concludere l'escursione ma
sarebbe stata una pazzia inutile rischiare anche se la
tentazione l'ho avuta e anche forte a malincuore
molto a malincuore
riscendiamo verso il rifugio, è l'unico modo per farlo riprendere.
Ci incamminiamo giù percorrendo massi levigati dai ghiacci e a tratti sembra
che sia stato fatto un sentiero levigato tra le rocce sparse, spesso mi giro
indietro e guardo verso la vetta cerco di consolarmi e mi dico che in fondo è
lì e lì rimarrà per molto tempo ancora ma un nodo alla gola mi impedisce di
essere contento di essere comunque in un posto stupendo, siamo tre anime in pena
che ridiscendiamo verso il rifugio chi per una ragione chi per un'altra abbiamo
tutti il broncio.
Siamo di nuovo vicino al rifugio sui massi detritici della morena e Luca ci
avvista e con finto stupore e dispiacere ci chiama e domanda, il falso, "
cosa è successo? perché vi siete rivoltati? Oh!! come mi dispiace! "
Sotto sotto un pò ci godeva che neanche noi fossimo andati su in vetta, come si
dice mal comune mezzo gaudio.
Raggiunto il rifugio ci riposiamo un pò e ci lecchiamo le ferite, Marco sta
comunque male anche se siamo scesi di quota, urge scendere di più; così
prendiamo le nostre cose e scendiamo verso Pont percorrendo la via dell'andata,
cioè il sentiero n° 1.
Lungo la discesa avvistiamo delle marmotte e dei camosci ma non sono serviti a
farci tirare su il morale, io cercavo di fare il possibile per dare un pò
dall'allegria perfino mettendomi a ballare un minuetto sulla punta degli
scarponi con l'effetto di far arrabbiare sempre di più Marco che non si
capacitava di come io non crollassi mai, così mi sono meritato anche il
soprannome di Ercolino sempre in piedi.
Man mano che si scendeva comunque riprendeva le forze e cominciava a star meglio
con grande sollievo di tutti.
Giungiamo a Pont e partiamo subito per Pont
S. Martin che non centra niente con il Pont Valsavarenche
da dove siamo partiti ma
per Luca I vari "Pont" sono tutti uguali e aveva prenotato lì una
stanza per riprenderci dalle fatiche, peccato che era più di cinquanta Km da
dove siamo.
Morale:
Cosa abbiamo imparato? O qual'è stata la conferma?
Che la montagna anche se all'apparenza facile non si lascia conquistare così
facilmente e noi piccoli uomini dobbiamo stare alla dura legge della montagna.
Il prossimo anno ci riproveremo!!!