02 - 03 Giugno 2007 Camaldoli e La Verna (
escursione organizzata dalla UOEI
Ripa di Versilia)
Camaldoli:
Da quasi un millennio,Camaldoli vuol dire monaci.
Fu nel 1025 che Romualdo, monaco di Ravenna, fondò in questa foresta del
Casentino l'eremo e il monastero di Camaldoli, che da il nome alla congregazione
Camaldolese dell'ordine di S. benedetto.
Essa conta nove fondazioni e 120 monaci in tutto. Ancora oggi il suo scopo è
quello della vita monastica secondo la Regola benedettina e gli antichi statuti
camaldolesi.
La figura del monaco, che è antica e sfida la modernità, la figura di
Benedetto, padre del monachesimo occidentale e infine quella di Romualdo, monaco
ed eremita dell'anno mille.
Sono le tre figure che aiutano a comprendere Camaldoli e le regole della
solitudine, della comunione e dell'ospitalità che ancora ne ispirano la vita.
La Verna:
Montagna sacra della contemplazione francescana detta anche " Calvario
serafico ".
Qui nel settembre del 1224 Francesco d'Assisi ricevette da Cristo "
l'ultimo sigillo "delle Stimmate.
Ricca di bellezze naturali e di opere d'arte, da quasi otto secoli è centro
di'attrazione e irradiazione del messaggio francescano di pace e fraternità
universale.
02 giugno escursione a
Camaldoli.
" C'era una volta una foresta
incantata.......alberi altissimi sorreggevano il celo come colonne di una
cattedrale, un folto mantello di candida neve ricopriva i rami ossuti e un
tappeto altrettanto candido e soffice attutiva i rumori."
Alle ore 06, ci troviamo davanti
alla sede di Ripa in 13 aramati di zaini, più o meno in orario, con tanta
voglia di stare assieme.
Ci dividiamo su cinque auto e partiamo alla volta di Badia Prataglia.
Percorriamo l'autostrada sino a Firenze sud senza intoppi e poi
imbocchiamo la statale 70 verso il Passo della Consuma, Poppi, Soci, e infine Badia
Prataglia.
Ci dirigiamo alla pensione Bellavista,
con molto piacere veniamo accolti da gentili gestrici che ci mostrano le accoglienti camere.
Non perdiamo tempo e ci ritroviamo fuori già equipaggiati per l'escursione.
Le previsioni non incoraggiano ma non ci arrendiamo e partiamo alla volta di
Camaldoli.
Ci dirigiamo verso la chiesa da dove davanti all'edificio parte una strada con
indicazione via Vetricetta, ben presto ci ritroviamo su una scalinata al cui
termine notiamo l'indicazione per Capanno con inizio del sentiero n° 260,
troviamo un bivio e prendiamo a destra e in pochi metri siamo in prossimità del
campeggio Capanno, (mt. 1.030).
Qui ci ingarbugliamo un pò e decidiamo di prendere la strada ma ci accorgiamo
subito che il sentiero passa più in basso della strada, sulla destra. scendiamo
e ci troviamo subito nel fitto bosco su un sentiero natura che al ritorno
vedremo segnalato con lo 00. Avremmo dovuto salire al ristorante Capanno e
prendere il sentiero 00 che da qui parte.
Il parco che si trova nell’Appennino
Tosco-Romagnolo è un complesso forestale che occupa la zona tra il Passo
dei Mandrioli e il Monte Falterona. Noi ci troviamo ovviamente in Toscana e
questo versante è più ricco di vegetazione e con dolci rilievi collinari. Questo perché
in Romagna fino a tutto il XVII secolo si procedeva ad un disboscamento
incontrollato per produrre legname e per creare terreni agricoli.
Anche se a quote più basse sono visibili i segni dello
sfruttamento dell’uomo, quì più in alto siamo di fronte ad una nature gestita con
grande cura.
Infatti, qui l’attenzione e la cura dell’uomo verso gli ecosistemi forestali
ha una storia millenaria. La storia del parco si può far risalire all’anno
1012, quando, con la donazione di un terreno venne fondato l’Eremo di
Camaldoli: successivamente i monaci ampliarono le loro proprietà e cominciarono
a curare le foreste per mantenere luoghi solitari di meditazione attorno al
Monastero. Grande attenzione venne posta nel proteggere e diffondere le fistaie
di abete bianco e, per tutelarne l’integrità, i monaci, emanarono un codice
forestale, mentre, con la regola monastica, stabilivano di piantare 3.000 alberi
l’anno. Da queste foreste provenivano i migliori alberi per le navi
dell’Ordine di Malta e per i Vascelli dell’arsenale di Livorno, nonché
travature per la Basilica di S. Maria del Fiore. Il Parco Nazionale ha riunito
la preesistente riserva integrale di Sasso Frationo e le 4 riserve Biogenetiche
di Badia Prataglia, Camaldoli, Campigna, Scodella.
E noi ci troviamo proprio nel bosco più fitto che abbiamo mai visto, tanto
fitto che la luce stenta a penetrarvi, infatti il sottobosco è inesistente.
dopo pochi passi nel bosco, una grande sorpresa, in un prato notiamo un grande
cervo che fa sfoggio di enormi palchi.
Restiamo lì increduli ad ammirarlo sin che scompare nel folto bosco.
Ora attraversiamo una sterrata e ci immettiamo sul sentiero GEA (Grande
Escursione Appenninica), subito ci troviamo su strada asfaltata e la percorriamo
brevemente costeggiando un torrente sino alla prima curva dove ci rimettiamo
sul sentiero dove è visibile un'indicazione per Fangacci.
Il sentiero non smentisce il nome della località che stiamo per raggiungere,
infatti le piogge dei giorni scorsi hanno ridotto questo e a dir il vero anche gli
altri sentieri in un pantano, ci troviamo su uno spiazzo ed ecco apparire una
piccola costruzione dal tetto spiovente al centro di una radura, come nelle
favole migliori: è il rifugio Fangacci (m. 1.263), peccato che sia chiuso , quì
ci potremmo arrivare anche in macchina, infatti questa località è raggiunta
dalla strada che parte da Badia Prataglia.
Dopo uno spuntino ripartiamo prendendo il sentiero n° 00 davanti a noi
con indicazione per Prato Penna che da quì dista due km.
Proseguiamo nel fitto bosco di abeti
bianchi e ancora ci meravigliamo quando all'improvviso dal bosco
appare una bellissima cerva con il piccolo restano un pò a guardarci e poi
visto che per lo stupore molti di noi non riescono a frenare l'entusiasmo e le molte
grida di stupore sono causa della fuga di questi splendidi animali.
Giungiamo a Prato Penna ( 1248 mt.), il sentiero termina momentaneamente sulla provinciale
dei Fangacci, strada che percorriamo in discesa per pochissimi metri dove sulla
sinistra troviamo l'indicazione per il Sacro Eremo su sentiero n° 74, l'eremo
da quì dista 1,3 km; ora il bosco cambia e ci troviamo tra larici
e faggi
e il sentiero viene interrotto ancora dalla strada la seguiamo sulla sinistra e
dopo pochi metri sulla sinistra riparte il sentiero n° 70 che conduce in
pochissimi minuti al Sacro eremo(m.
1.104).
Volevamo visitare il monastero ma anche i santi padri hanno necessità terrene e
dovendo pranzare chiudono il complesso, ci informiamo sull'apertura e la notizia
che riapriranno alle ore 15,30 ci delude profondamente.
Abbiamo appena il tempo di fare una capatina nella farmacia ma anche questa ci
invita ad uscire in quanto prossima alla chiusura.
All'esterno dell'eremo vi è una bellissima e fresca fonte dove ci
rinfreschiamo, ci riuniamo e pensiamo come organizzare il resto della giornata e
molti di noi vorrebbero aspettare che riaprono l'eremo. purtroppo l'orario è
troppo in là.
Decidiamo di pranzare e poi di scendere verso Camaldoli per poi ritornare su
all'eremo per la visita.
Ci mettiamo in cerca di uno spiazzo al sole, e ci accingiamo a pranzare. Appena
terminato non indugiamo e prendiamo decisamente verso Camaldoli, forse troppo
decisamente, prendiamo il sentiero n° 168, giustamente, ma poi ci confondiamo
con segnali rossi fatti dalle guardie forestali per censimento d'alberi e ci
troviamo al laghetto Traversari e seguiamo un sentiero, non numerato ma
purtroppo con alberi seganti in rosso, e ci troviamo ad un bivio e perdiamo un po'
di tempo per fare il punto sulla carta e decidere in che direzione andare,
prendiamo a destra.
Siamo in una zona ricca d'acqua, sono numerosi torrenti e ruscelli, il bosco è
a faggio.
Percorriamo un ripidissimo sentiero molto scivoloso e giungiamo ad una strada,
la attraversiamo e in prossimità di una staccionata e cartello stradale che
indica la pendenza della strada, sulla destra riparte il sentiero n° 168 non segnalato
in questo punto, abbiamo ritrovato il sentiero perduto.
Percorriamo il sentiero che in definitiva costeggia la strada e giungiamo ad una
chiesetta intitolata a S. Romualdo, non ci sono indicazioni sulla costruzione, scendiamo
ancora e troviamo un'altra piccola chiesina e dopo pochissimo siamo al paese di
Camaldoli.
Camaldoli, cittadella dello spirito, deve la sua fama a San Romualdo,
riformatore della regola benedettina, che giunse in questo luogo nel 1012. Qui
egli fece costruire l'eremo in una radura all'altezza di circa 1100 m. e più in
basso, in località Fontebona, un ospizio per i pellegrini, ammessi a
condividere l'esperienza dei monaci. La comunità camaldolese si caratterizzò
per la pratica di due diversi momenti di vita monastica: alcuni periodi venivano
trascorsi in eremitaggio, altri nella dimensione comunitaria. La congregazione
camaldolese si espanse moltissimo in Italia e in Europa grazie ad una serie di
donazioni di proprietà e chiese da parte di nobili. Questi monaci, infatti, a
differenza dei francescani, potevano ricevere e trattenere beni. Dante li chiama
li frati miei che dentro ai chiostri/ fermar li piedi e tennero il cor saldo (
Par. XXIII, 49-51). L'attuale monastero risale al Cinquecento ed è corredato
dalla foresteria, dall'antica farmacia e da una biblioteca.
La prima cosa che incontriamo è l'antica farmacia (1513).
Entrare nell' Antica Farmacia è un'esperienza singolare. Aperta la
porta l'ingresso, si entra in un locale che fa provare una certa emozione:
a sinistra armadi del Cinquecento in castagno, di fronte e a destra vetrine con
i prodotti della farmacia. L'accesso alla sala delle vendite avviene attraverso
una porta a due battenti. Anche qui, come in tanti altri luoghi del monastero,
ritrovi il simbolo della comunità monastica: il calice e le colombe intagliate
in due formelle simmetriche. Superata questa porta, ci si trova in una stanza
dalla luce soffusa: pareti e soffitto sono completamente rivestite di legno.
Questo sontuoso allestimento risale all'antica farmacia dei primi anni del
Cinquecento. Per l'esattezza al 1513, quando essa venne nuovamente ripristinata
dalle distruzioni di uno dei molti incendi che l'hanno danneggiata e talora
anche distrutta.
dentro queste sale non si sa dove posare gli occhi, tante sono le
cose che ti attraggono.
Dal soffitto a cassettoni alle vetrine illuminate e piene di prodotti.
Dagli armadi con ante impreziosite da intagli, ai ripiani rivestiti di stoffa
rossa.
Dalle cassettiere poste in alto vicino al soffitto, alle immagini dei santi
protettori incastonate in cornici ovali.
Una porta a sinistra immette nel laboratorio galenico: una meraviglia tutta da
scoprire!
Dopo questa interessante visita ci dirigiamo al monastero
che è stato più volte rimaneggiato, fu ed e' un faro di cultura e di
fede.
Secondo
una leggenda il Monastero venne fondato da Maldolo, conte di Ravenna - da cui
deriverebbe il nome Ca'Maldoli - e in seguito fu donato a San Romualdo. In realtà,
appare più verosimile che il nucleo originario del Monastero sia stato
costruito insieme al Sacro Eremo nel 1025 da San Romualdo. Il Monastero venne
poi interamente edificato nel Cinquecento. La struttura si articola attorno ad
un chiostro centrale che presenta due ordini di arcate a tutto sesto.
Nell'ambiente del refettorio si trovano affreschi realizzati da Lorenzo Lippi,
un dipinto seicentesco del Pomarancio e arredi in legno del Seicento. La Chiesa
risale al Settecento e conserva opere di Giorgio Vasari, tra cui la Natività,
la Deposizione e una Madonna in trono con Bambino e Santi. Erano, inoltre,
presenti un laboratorio per la produzione di medicinali con erbe e una
Biblioteca composta da oltre trentamila volumi.
Dopo la visita ci prendiamo un attimo di sosta e ci prendiamo un caffè.
Riprendiamo la via del ritorno la stessa che abbiamo già percorso; sul sentiero
incontriamo un anziano frate benedettino molto gioviale che ci racconta un pò
la storia di questo sentiero spiegandoci che su questo sentiero sono transitati
moltissimi santi da S. francesco, S. romualdo, S. Carlo Borromeo ecc.
Rigiungiamo all'eremo è aperto e ci dedichiamo alla visita.
Entriamo e visitiamo la chiesa in stile barocco e in una cappellina laterale vi
è una pregiata terracotta smaltata di Andrea della Robbia 1435 - 1525 raffigurante
la Vergine con il Bambino e i santi.
Visitiamo le sale del
Capitolo con il bel soffitto ligneo e l'oratorio.
All'esterno al di la di una cancellata vi è la grande pace della zona
delle celle dei monaci ognuna con il proprio orticello.
Infine visitiamo la cella di S. Romualdo, oggi
inglobata nell'edificio della biblioteca, che mantiene al suo interno la
struttura tipica della cella eremitica: un corridoio che si snoda su tre lati,
custodendo al suo interno gli spazi di vita del monaco, la stanza da letto, lo
studio, la cappella. Questa struttura "a chiocciola", oltre ad offrire
riparo dalle rigide temperature invernali, simboleggia il percorso interiore del
monaco che cerca di entrare in se stesso.
Terminata la visita riprendiamo la via gia percorsa al mattino per Badia
Pratgalia.
03/06/2007 La
Verna (1100 m.)
" Nel crudo sasso intra Tevero e Arno da Cristo prese l'ultimo sigillo che
le sue membra due anni portarno " Dante - Paradiso canto XI
Ci svegliamo al mattino non
all'alba come al solito ma stranamente questa volta ci concediamo il lusso di
scendere dal letto alle ore 07,30.
Purtroppo il celo si presenta molto scuro e le vie del paese sono immerse nelle
nella nebbia e la nostra prima decisione è di andare alla Verna in auto.
Siamo rassegnati all'idea di dover rinunciare e dopo colazione partiamo alla
volta del Santuario Francescano.
Man mano che ci avviciniamo alla meta il celo si fà più chiaro e passata la
località di di Rimbocchi, paese che tra l'altro doveva essere punto di
partenza della nostra escursione, incrociamo il sentiero n° 053 che conduce
alla Verna, che da qui dista circa un'ora.
Ci fermiamo qui e decidiamo di intraprendere il cammino verso la nostra meta.
Il sentiero all'inizio sembra non essere percorso da molto tempo, infatti l'erba
è molto alta ma ben presto s'inoltra in un fitto bosco che questa volta
è di faggi, querce e larici; inoltre questa volta vi sono ampi spazzi da dove
ammirare il panorama.
Adesso però ci troviamo in un fitto bosco di larici ed enormi massi ricoperti
di muschi che lo punteggiano, vi sono anche molte grotte e cavità.
Poi alla nostra sinistra si staglia una ripida parete e già fantastichiamo di
scalarla, proseguiamo e non ci rendiamo conto che la parte è un lungo bastione,
noi sempre col naso all'insù in cerca di possibili vie da scalare.
All'improvviso siamo fuori dal bosco e sopra di noi sull'imponente rocca sorge
l'eremo della Verna.
L'Eremo della Verna è situato sull'omonimo monte a 1.129 metri sul livello del
mare.
Il monte, di proprietà del conte Orlando dei Cattani, fu donato nel 1213a San
Francesco d'Assisi che con alcuni compagni vi fondò alcune celle di
eremitaggio.
Oltrepassiamo un cancello e siamo su lastricato che ci porta davanti alla
chiesina degli "Uccelli" dove secondo la tradizione S. Francesco fu
accolto al suo arrivo da una grande moltitudine di uccelli.
Saliamo un'altra rampa e poi entriamo attraverso il portone all'interno
dell'eremo.
Siamo sul " Quadrante " piazzale lastricato, circondato da un
muro in pietra, detto Quadrante a motivo della meridiana, l’orologio
solare inciso sulla parete del Campanile della Basilica: "Se il sol mi
guarda, le ore ti mostro". Siamo a 1128 m. sul livello del mare. Una grande
croce in legno piantata sulla roccia si staglia verso il cielo e apre lo sguardo
all’immenso panorama della valle del Casentino limitata all’orizzonte dalla
catena appenninica del Pratomagno (l591 m.) Ben individuabili, da sinistra a
destra, Chiusi della Verna con i resti del castello del Conte Orlando, la
Valtiberina sullo sfondo, il monte Casella (1263 m.), le case della Beccia
proprio sotto la montagna, le cittadine di Bibbiena e Poppi. A sinistra il pozzo
della foresteria: una cisterna del sec. XVI, utilizzata per gli ospiti ed i
pellegrini. I tetti irregolari a lastre o a coppi e tegole, su cui si ergono
fantasiosi camini, fanno di questo angolo uno dei piu suggestivi esempi di
architettura spontanea, opera dei frati e delle maestranze che vi hanno
lavorato.
Visitiamo poi S. Maria degli Angeli, la Chiesina fù voluta da Francesco stesso
che, in seguito ad una apparizione della Vergine, ne indicò il luogo e le
misure richieste.Sono quelle della Porziuncola, nella pianura di Assisi, dove
egli aveva compreso la sua vocazione evangelica. Per questo era tanto
affezionato a S. Maria degli Angeli e volle che 1’unica costruzione in pietra
alla Verna fosse dedicata alla Madre del suo Ordine.
Stà per essere celebrata la santa messa e partecipiamo alla cerimonia
nella Basilica dedicata alla Madonna Assunta, un momento di vera
spiritualità.
La basilica fu iniziata nel 1348 grazie alle offerte del conte Tarlato di
Pietramala e di sua moglie Giovanna di S. Fiora. I frati riuscirono a
completarla solo nel 1509 col contributo dell’Arte della Lana di Firenze. Per
quasi due secoli i lavori erano stati sospesi per mancanza di fondi.
A croce latina, con bracci laterali assai ridotti, contiene ricordi importanti e
capolavori d’arte. Molto del materiale con cui furono costruiti la chiesa e il
campanile apparteneva alle rovine del castello di Chiusi, lasciato in abbandono
sul finire del secolo XV. L’interno, a navata unica secondo la primitiva
tradizione di architettura francescana, è a quattro campate con volte a
crociera. La seconda è arricchita dallo Stemma dell’Arte della Lana, opera di
Benedetto Buglioni 1459 -1521 Il tondo a ghirlanda di frutta e rami frondosi
circonda 1’Agnello pasquale sgozzato e vivo che impugna la bandiera con la
croce. Simbolo del Cristo crocifisso e risorto fu adottato come stemma dalla
corporazione fiorentina più benemerita nei confronti del Monte della Verna. Fu
collocato nella volta intorno al 1495. Pregevoli sono le pale robbiane presso
gli altari laterali.
Usciti dalla basilica visitiamo "Sasso Spicco" un baratro orrido
e umido. Un masso imponente sporge per vari metri sopra un’altra robusta
roccia. Sembra staccato (Sasso 'spicco’) e si regge solo per il contrappeso
della parte che non si vede. La croce di legno addossata alla roccia ricorda
come Francesco in questo luogo amava meditare la Passione.
Siamo ora nel corridoio delle stimmate dove ci sono affreschi con la storia di
S. Francesco, da questo corridoio arriviamo alla grotta dove c'è il letto del
Santo, un letto di pietra.
Uscendo all’aperto si può girare attorno alla grande roccia su cui poggiano
le fondamenta della cappella di S. Sebastiano e del Romitorio. Una ringhiera in
ferro permette di affacciarsi senza pericolo sui prati sottostanti mentre
un’altra grata chiude un piccolo anfratto che accolse S. Francesco. Mentre il
demonio cercava di gettarlo di sotto egli si appoggio alla roccia che gli si
fece riparo come se fosse di molle cera. (Cfr. Fioretti, II Consid. FF
1911).Affacciandosi alla ringhiera lo sguardo si allarga su tutta la valle del
Casentino verso Poppi, Soci, il passo della Consuma (1060 m.). Sospesi tra cielo
e terra .
Ci ritroviamo tutti sul piazzale del Quadrante e ci facciamo alcune foto in
gruppo poi riprendiamo il nostro cammino verso il monte Penna.
Riusciti sempre dal portone principale si riprende la mulattiera verso sinistra
segnalato "sentiero natura" che ora costeggia il muro di cinta prima
salendo e poi scendendo fino ad innestarsi sulla strada principale. Su questa si
volta a destra arrivando ad una cappelletta.
Si lascia ora la via per prendere a sinistra il sentiero GEA 050 che poco dopo
si inerpica lungo il versante meridionale del M. Penna, avvolto da una grandiosa
foresta.
La salita è molto ripida ma in breve siamo sul crinale e da qui si può
ammirare un bel panorama, peccato per il forte vento che soffia.
Ora camminiamo su sentiero quasi pianeggiante, siamo appena sotto la cresta, per
fortuna siamo anche sotto vento.
Giungiamo alla vetta a quota 1283 mt. sulla vetta c'è una vecchia chiesina,
ammiriamo il panorama, il precipizio è protetto da una balaustra in ferro
da dove l'occhio spazia sulle migliaia di ettari delle foreste Casentinesi.
Ci fermiamo sulla vetta cercando di rimanere al coperto dal vento e quì
pranziamo.
Dopo circa un'ora ripartiamo, da prima su un tratto quasi in piano e poi una
netta discesa tra altissimi faggi.
Giungiamo al termine del sentiero e ci troviamo alle spalle del complesso
monastico, veniamo accolti dallo scampanio gioioso del campanile della basilica
e attraverso una piccola porticina rientriamo all'interno dell'eremo.
Ci fermiamo per fare alcuni acquisti, in particolare liquori con ricette
dei monaci; un caffè e via si riparte.
Usciamo dal portone principale e ripercorriamo il sentiero percorso al mattino
da dove raggiungiamo le auto.
Una riflessione al termine di questi due giorni:
" Abbiamo passato giornate bellissime in un ambiente magico, fatato
tra montagne della spiritualità, abbiamo condiviso tutti assieme tante
emozioni avvistando cervi e ammirando la grandezza del Creatore che ci ha dato
tanta bellezza, abbiamo avuto anche attimi di commozione ricordando amici,
Grandi Amici che purtroppo non ci sono più, almeno fisicamente ma la loro
presenza è continua e siamo sicuri sono sempre al nostro fianco."
In conclusione è stata una bellissima esperienza che ci porteremo dentro di noi
per molto tempo e magari ci auspichiamo di ripetere a breve termine per
permettere a chi non ha potuto parteciparvi di provare le stesse nostre sensazioni.
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