Rieccoci per una nuova
avventura, questa volta e di scena l'Appennino lucchese e nella fattispecie il
Balzo Nero.
Con piacere contandoci davanti alla sede a Ripa siamo in dodici e
sappiamo che dobbiamo incontrarci con altri tre amici che arrivano da
Montecatini.
Ci disturbiamo sulle auto e via si parte, percorriamo la strada che da
Caiore porta a Lucca, la Freddana, da Lucca imbocchiamo la strada statale 12
dell'Abetone e del Brennero, passando
Bagni di Lucca e dopo circa dodici km. sulla sinistra parte il bivio
per Vico Pancellorum.
Siamo nella piazzetta del caratteristico paese.
Parliamo un pò di questo piccolo centro: adagiato alle pendici del Balzo
Nero ( mt. 1315) è a circa 650 mt. di altitudine, e da ogni angolo si
può godere di bellissimi panorami, che spaziano dalla veduta delle Alpi
Apuane, al Monte Bargiglio, tutta la Controneria con il monte Prato
Fiorito fino alla Penna di Lucchio. Salendo fino alla “Croce di S.
Marco” si impone la vista del Monte Caligi, di Capanne di Siviglioli,
dai contrafforti della Brancolerai fino alla montagna Pistoiese,
Piteglio e la Macchia Antonini.
I pochi abitanti rimasti sono circa un centinaio, ma la popolazione
incrementa notevolmente grazie al turismo non solo estivo ma anche
invernale, dovuto alle vicine piste da sci dell’Abetone. In paese sono
presenti una fornitissima bottega di generi alimentari (detta “al
Chioppo”) e il ristorante bar “Buca di Baldabò”(sito nello stabile della
locale Associazione/Pro-Loco “Il Risveglio”), che offre specialità
regionali e internazionali; la ricezione turistica è attiva grazie all’
affitto periodico di case private.
Dai primi del ‘900 l’emigrazione ha decimato la popolazione residente, e
ancora oggi è facile incontrare chi ha fatto ritorno e parla volentieri
due o tre lingue straniere raccontando storie di vita vissuta in giro
per il mondo, legata ai “mammalucchi” di gesso, agli “stagnini”, ai
venditori di “pannina” .
L’Oasi Balzo Nero è un naturale paradiso per gli animali selvatici quali
cinghiali,capre selvatiche, lepri, caprioli, daini, tassi, istrici,
poiane, gufi, falchi, e l’imponente aquila reale, che ha fatto di
quest’area il suo regno indiscusso; tra le risorse naturali presenti
sono da evidenziare soprattutto le castagne e i preziosissimi funghi
porcini; inoltre nel torrente Coccia, che scorre in anfratti orridi
bellissimi, le trote sguazzano in abbondanza Per gli appassionati, sono
possibili escursioni di trekking e mountain bike, nonché spedizioni
speleologiche (solo per i più esperti!) nelle grotte naturali nascoste
nei boschi circostanti, ricche non solo di tesori geologici ma anche di
antiche tracce esoteriche lasciate dai primitivi insediamenti umani.
Antico paese di origini romaniche, ne mantiene ancora il curioso nome,
mentre la struttura è riconducibile all’epoca medievale, in quanto del
paese originario rimangono solo alcune tracce.
Di notevole importanza storico-architettonica è la Pieve Romanica di S.
Paolo, edificata più di mille anni fa, custode tra l’altro di una
pregevole statua lignea del ‘600 del santo patrono, di un organo del
‘700, di alcuni dipinti sacri recentemente restaurati, e di un piccolo
museo. Ricordata dall'873,
è di impianto
basilicale a tre
navate
spartite da arcate su pilastri sormontati da
capitelli con decorazioni fortemente geometrizzate. Sul fianco
destro si erge la torre campanaria. Nella semplice
facciata il portale è sormontato da un
architrave che reca incisi motivi simbolici e da un
archivolto a tutto sesto composto da cunei alternati di pietra
bicroma. La parete sopraelevata della
navata
maggiore comprende una serie di archetti separati da sottili
lesene
e impostati su mensole variamente scolpite. Tra le opere, una statua
lignea di San Paolo (XV
secolo), un Crocifisso in legno scolpito (XV secolo), un'acquasantiera
in marmo
(1551) e i
resti di un
affresco con figure di Apostoli (XIV
secolo). Passeggiando per le vecchie vie si possono individuare il
tribunale, le antiche prigioni, l’abitazione di Mons. Stefanelli Vescovo
di Lucca all’inizio del 1800, originario del luogo, il palazzo dei
Vicari della Val di Lima (oggi abitazioni private), nonché bei portali e
pietre ricche di storia.
Parlare di questo borgo era doveroso in quanto anche se non venite per
arrampicarvi come capre vale la pena visitarlo.
Veniamo a noi; Ci dividiamo in due gruppi il primo parte per la vetta
del Balzo Nero passando dal più tranquillo sentiero n 8 ( Itinerari A).
Dal Paese si scende fino ad un tornate a sx dove proprio nella curva
inizia, a dx, uno stradello che penetra nella valle del torrente
Coccia di Vico.
Dopo qualche centinaio di metri diventa uno stretto sentiero che corre
parallelo al torrente, si segue poi il sentiero (sempre 8) che sale a tornanti sulla dx.
Il percorso taglia il versante W del monte, a mezza costa, sulla
spettacolare valle. Con altri tornanti si sale alla bella faggeta dei
Piani
(1173m) dove si aprono vecchi pascoli ora invasi da felci. Raggiunto il
crinale si prosegue a SE e si supera una selletta e attraversato un rado bosco
fino alle facili roccette che per un’esile cresta conducono in vetta
(m.1315).
Mentre i restanti nove proseguono per itinerario (B). Siamo ben equipaggiati attrezzature da
ferrata, la corda questa volta non la portiamo, nessuno si offre
volontario per portare 60 mt di pesante corda. Quindi partiamo per quella che sarà la nostra meta, il Balzo nero.
Dalla piazzetta, dove nell'angolo estremo c'è una bacheca con
informazioni sul luogo, parte una strada, la imbocchiamo e dopo pochi
metri sulla sinistra parte un sentiero, questo è il punto di partenza
della nostra escursione.
E' doveroso dire che da questa parte non vi sono indicazioni se non
sporadici pallini rossi su alberi, quindi bisogna prendere come primo
riferimento la Croce di San Marco che si nota dalla piazzetta del paese.
Proseguiamo nel fitto bosco e i segnali come già detto vanno e vengono,
comunque le tracce sono molte per salire sin quassù. Dai racconti di
alcuni paesani abbiamo appreso che il vecchio paese si trovava su queste
pendici e in effetti mentre saliamo notiamo diverse tracce di
insediamento umano. Qualche passaggino in stile capprettistico e poi un
ripido canalino e siamo alla Croce di San Marco.
Come già detto la vista da quì è già notevole: sotto di noi il paese di
Vico P. e poi il Monte Caligi, Capanne di Siviglioli, i contrafforti
della Brancolerai, la Penna di Lucchio e il Memoriante, fino alla montagna Pistoiese, Piteglio e la Macchia
Antonini.
Dopo aver goduto di questi panorami ripartiamo tenendo sempre davanti a
noi le propaggini del balzo Nero. Proseguiamo ancora nel bosco i segnali
sono sempre più sporadici ma comunque non si può sbagliare, la traccia
è evidente e comunque si deve solo salire.
Usciamo dal bosco e davanti a noi si presenta subito una ripida parete
che apparentemente sembrerebbe anche difficoltosa. Ma una volta
affrontata ci rendiamo conto che le difficoltà sono solo nella ripidità,
infatti si sale agevolmente in quanto il terreno e formato da ampi
gradoni.
Ecco abbiamo salito una cima e subito davanti a noi altre cime che
dobbiamo affrontare; due le abbiamo già affrontate e in lontananza ne
contiamo altre tre. Mentre saliamo
a qualcuno la fatica fà avere le allucinazioni e vede la Madonna che lo
chiama, è si!
Andiamo avanti per creste e cime l'odore di
escrementi di capre selvatiche è fortissimo e molto spesso ne tastiamo
la consistenza mentre ci sorreggiamo a qualche masso; a un certo punto
ne avvistiamo un gran branco che scende a rotta di collo giù per le
pendici, devo dire che un pò le abbiamo invidiate, così agili e senza
timore.
Siamo sul monte Alto a quota 1218mt. e qui c'è veramente la Madonna che ci attende,
forse le allucinazioni non erano poi tali.
Giungiamo qui e prendiamo fiato, rivolgiamo un pensiero alla Madre
Celeste perché ci protegga.
Adesso ci indossiamo gli imbraghi, si, perché
sotto di noi si apre la forcella chiamata la " Fessa" che scende prima in un ripido canalino
e poi risale su uno spigolo molto esposto, sia da una parte che
dall'altra vi sono cavi d'acciaio per facilitare la discesa e la
successiva salita.
La discesa è moto esposta e ci caliamo tenendoci al cavo d'acciaio, cavo
che può servire per tenersi ma non serve per nessuna assicurazione,
quindi gli imbraghi sono inutili. Scendiamo con molta cautela perché
oltre che fare attenzione dove ci teniamo dobbiamo fare molta molta
attenzione a non far cader sassi, infatti qui il terreno è moto friabile
e le rocce si sfaldano in strati.
Chi giunge in basso deve ben
presto affrontare la salita dal lato opposto senza indugio perché nel passaggino tra le due pareti non vi è spazio per fare sosta e quindi
bisogna lasciar spazio a chi scende dopo.
L'attrezzatura da ferrata si rivela inutile anche salendo lo
spigolo, quindi saliamo
facendo molta attenzione a dove ci teniamo, non vogliamo rischiare di
trovarci con un sasso in mano e mancare la presa.
La salita è breve e siamo di
nuovo sulla cresta, e davanti a noi si pone la penultima cima da salire,
una volta salita eccoci davanti a noi il Balzo Nero con il suo "
tartufo" nero sulla sommità, come già detto in precedenza, mentre sino
ad adesso camminavamo su calcareniti chiare
(La calcarenite è un tipo di roccia
sedimentaria clastica, formata da particelle calcaree delle dimensioni
della sabbia. Sono spesso di origine biologica, ovvero fossili di
organismi marini.) la vetta del Balzo Nero è
formata da Breccione,
roccia di colore scuro che fornisce il toponimo alla montagna.
Prima di giungere alla nostra meta ci giriamo per veder il percorso
fatto e ci premia la vista di un'aquila, stava venendo verso di noi ma
purtroppo, forse per il nostro vociare ha preferito andare dalla parte
opposta. Su queste pendici pare che nidifichi indisturbata già da
parecchi anni.
Siamo finalmente sull'ultima cima e affrontiamo l'ultima salita tra
rocce completamente diverse da quelle trovate sino ad adesso, sembra
lava!
Eccoci sulla vetta e da qui il panorama è sicuramente notevole
da mozzafiato che spazia tra profonde valli solcate da tumultuosi
torrenti e belle montagne; dalla veduta delle Alpi Apuane, al
Monte Bargiglio, tutta la Controneria,
costituita dai tre
centri: S. Gemignano, S.Cassiano, Pieve di Controne
posti sotto
il monte Limano e Prato
Fiorito verso S/O la Penna di Lucchio e Memoriante.
Sulla vetta troviamo anche gli amici che anno percorso l'itinerari
facile e ci scambiamo le varie impressioni. L'immancabile foto di gruppo
ma poi visto il celo che comincia a farsi cupo e che in vetta c'è molto
vento decidiamo di scendere in zona più riparata.
Ridiscendendo per facili roccette giungiamo ad
boschetto e seguiamo verso N/O per crinale,
giungiamo alla località i Piani e prendiamo il sentiero n° 8 che viene
da Poggio degli Agli. Camminiamo nella faggeta sino a raggiungere uno
slargo, località Prato Belliccioni
(1420 mt), dove è presente una fonte
e qui ci sembra abbastanza riparato e comunque siamo affamati
e ci sembra il luogo ideale per il
nostro pranzo. La sosta è abbastanza lunga per rifarci prendere le
forze, saremmo anche pronti a ripartire ma dobbiamo ancora prendere il
caffè e allora Bruno
lo
tira fuori dallo zaino, la relativa macchinetta e fornellino e prepara un
fragrante e profumato caffè corretto con grappa.
Ripartiamo e ripreso il sentiero n8 giungiamo alla località Belvedere,
un tempo zona di alpeggio e oggi invasa da felci e erba alta. Lasciamo
il sentiero n( 8) e imbocchiamo 8b, attenzione quì non ci sono
segnalazioni, bisogna proseguire verso N/W e ci si inoltra nella
faggeta. Scendiamo a lungo, tanto che ci preoccupa il fatto che magari
dobbiamo risalire. Giungiamo ad un primo torrente e chi più e chi meno
riusciamo ad attraversarlo senza problemi;
proseguiamo sempre tra maestosi castagni e splendidi faggi sino a
raggiungere il greto di un torrente Coccia, asciutto, che man mano che
proseguiamo diventa un vero e proprio canyon, il sentiero attraversa più
volte il greto, notiamo che vi sono molte formazioni ipogee.
Infatti a quota 830 mt giungiamo alla grotta dei Porci, sembra che si
chiami così perché veniva usata per il ricovero di questi animali.
La grotta dei Porci
si estende per circa 120 metri nel calcare mesozoico. Proviamo
ad entrare ma facciamo pochi passi e il buio è totale.
Ritorniamo sui nostri passi e riprendiamo il cammino seguendo sempre il
torrente Coccia, ammirando l'erosione che ha scolpito le pareti della
montagna.
Ma eccoci ad un bivio e rientriamo sul sentiero n° 8, da qui vediamo
parte della cresta che abbiamo percorso, e notiamo anche l'intaglio da
dove ci siamo calati, da qui sembra una piccola cicatrice.
Il sentiero scende dolcemente in tornanti sovrastando la gola del
fiume Coccia; adesso il sentiero si apre in una strada sterrata e da qui
capiamo che il paese ormai è vicino.
Il sentiero termina su una curva della strada che
porta al paese.
Poche centinaia di metri e siamo di nuovo nella
piazzetta.
E' stata una splendida escursione che ci ha portato su un itinerario
lontano dalle nostre Apuane, di una bellezza unica un ambiente poco conosciuto ma molto molto interessante, lo
raccomando, se avete esperienza, se siete allenati e avete dimestichezza
con le ferrate, andateci ne vale sicuramente la pena.
La giornata non finisce se non ci fermiamo a prenderci un gelato e poi ognuno torna alle proprie
abitazioni con nel cuore e negli occhi scenari da sogno.
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