25/09/2011
Roccandagia m. 1717
La Roccandagia è la montagna di
Campocatino. Vista da questa località pare essere una vetta dolomitica,
approdata – chissà come e perché – a due passi dal Tirreno: la sua
parete domina la conca glaciale dell’alpeggio, dove il grigio dei vecchi
caselli dei pastori si integra alla perfezione con l’ambiente
circostante. E’ una montagna molto suggestiva, la cui salita richiede però una certa attenzione e una confidenza con il vuoto e con gli infidi terreni apuani. Il nostro itinerario inizia Campocatino (m.1000 circa), facilmente raggiungibile da Vagli. ( http://www.paesiapuani.it/monte%20roccandagia.htm) |
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Quota
partenza: 1003 |
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Classificazione:
EE |
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Periodo consigliato: Da primavera sino a metà autunno da non effettuare con terreno bagnato o ghiacciato
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Di nuovo sulle
Apuane, questa volta con un'escursione non troppo lunga ma decisamente
impegnativa per le difficoltà presentate dall'affilata cresta del Monte
Roccandagia (m. 1700) formata da due costoni di origine morenica che si
prospetta con un'alta e bella parete sulla verde conca di
Campocatino.
L'escursione ha inizio dal paese di Campocatino per l'omonima oasi
Lipu e per il vicino Eremo di San Viano. Il paese è raggiungibile da
Castelnuovo Garfagnana: si deve attraversare il paese e proseguire seguendo le
indicazioni per Vagli di Sotto e per l'omonimo lago famoso per il
paese sommerso. Da qui si seguono le indicazioni per Vagli di Sopra e
successivamente per Campocatino che dista pochi chilometri da Vagli.
Il gruppo, questa volta, è bello nutrito ci troviamo in 14 e subito ci dirigiamo
verso la nostra meta, giunti a Campocatino lasciamo le auto nello spazio
sulla sinistra adibito a parcheggio ( 2 € per tutto il giorno).
Calzati gli scarponi e fatta scorta di acqua presso
l'unica fonte che incontreremo durante tutto il tragitto (è ubicata proprio
all'inizio del sentiero) ci incamminiamo più allegri che mai sul sentiero
(segnavia 177)
che
inizia alla destra della barriera d'ingresso dell'oasi, attraversa il borgo e si
inoltra in leggera salita nei prati e subito la prima cosa che ammiriamo è la
possente parete della Roccandagia.
Ma da non perdere sono anche i " caselli ", minuscole casette con i muri fatti
di pietra, così come di tale materiale sono fatte le lastre dei tetti ed i
muretti a secco che circondano gli edifici.
La loro concentrazione a Campocatino, un’area per giunta isolatissima, è davvero
eccezionale. Ne sopravvivono circa un centinaio, ammassate in una superficie di
circa otto ettari. I caselli più antichi risalgono addirittura al ‘600 e sono
ormai disabitati per la maggior parte dell’anno. Anche per questo, salire
quassù, magari in un giorno feriale, può dare davvero la sensazione di aggirarsi
in un paese fantasma.
I caselli rivelano pienamente la saggezza dei loro costruttori.
Di non grandi dimensioni, si adattano armoniosamente ai dislivelli del terreno
con soluzioni sempre diverse. Il piano inferiore, seminterrato, era un tempo
dedicato al ricovero degli animali e agli attrezzi agricoli; quello superiore
alla vita degli uomini. Gli ingressi ai due piani sono indipendenti, mentre lo
spazio attorno all’edificio veniva utilizzato anche come orto, magari con
qualche albero da frutto.
Imbocchiamo il sentiero n° 177 e costeggiamo il grande prato dove è ubicata una
chiesetta, forse un pò troppo moderna per il luogo, saliamo in leggera salita e
guardandoci attorno notiamo la classica conca di formazione glaciale.
Proseguiamo su prati sino a raggiungere la linea del bosco di faggi maestosi e
imponenti, chi sà quanti anni avranno? Manteniamo un ritmo tranquillo,
il percorso non è lungo ma il dislivello (700 metri) è piuttosto sensibile, non
vogliamo stancare nessuno.
Giungiamo infine al passo Tombaccia (m.1365), dove arriviamo alle
10,15 (1,35 ore da Campocatino), d'ora in poi il sentiero è più impegnativo, in
particolare alcuni tratti su roccia che richiedono molta attenzione e sono
sicuramente da sconsigliare a inesperti, specialmente con roccia bagnata. Lungo
il tracciato sono presenti tratti protetti
con cavi d'acciaio dove potrebbe essere più pericoloso. Li
troviamo su una rampa, che ci servirà di più quando scenderemo,
nell'attraversare un canale e su una ripida paretina.
Ci troviamo ora in un anfiteatro di
origine glaciale di rara bellezza: alla nostra sinistra le levigate e ripide
pareti della Roccandagia, di fronte la Carcarraia punteggiata di innumerevoli
circhi glaciali, alla destra il Monte Cavallo e il Pisanino. Impossibile
descrivere le sensazioni che si provano di fronte a tanta bellezza. Facendo
molta attenzione alle insidie del sentiero proseguiamo fino alla base di un
canalone dove, segnalato da poco visibili ometti di pietra, inizia sulla
sinistra la traccia
che conduce alla cresta della Roccandagia (quota m. 1400 circa). Da ora in poi
il sentiero è davvero impegnativo.
Iniziamo la faticosa ascesa su rocce e ammassi di pietre spaccate dai ghiacci e
rotolate a valle nei secoli, il tutto ricoperto da paleo che nasconde le
frequenti insidie. Bisogna prestare sempre molta attenzione ai poco visibili
ometti, spesso formati solo da poche pietre, e comunque pensare sempre al
percorso più agevole perché la traccia non è quasi mai visibile. Una volta in
cresta si ha una visione spettacolare dell'intera valle dell'
Edron e del lago di Vagli ma
anche dell'affilata cresta che dovrà essere percorsa per raggiungere la vetta.
Ci fermiamo alcuni minuti per rifocillarci dato che la ripida salita ha fatto
venire il fiatone a molti ma anche per riflettere sull'opportunità o meno di
proseguire. La cresta è molto affilata, non più larga di mezzo metro con le
pareti che cadono ripide verso il fondovalle. Qui è bene interrogarsi veramente
sulle proprie attitudine e condizioni fisiche, se non si è del tutto sicuri è
meglio rinunciare. In effetti alcuni non se la sentono e restano ad attenderci
mentre noi, cautamente, iniziamo ad avanzare. Dopo un ardito passaggio in piano,
una quarantina di metri di cresta piuttosto affilata ed esposta
(conviene percorrerla – dove possibile – stando leggermente sul versante verso
sud, in
quanto dalla parte opposta è quasi strapiombante). Qui serve molta attenzione,
passo sicuro e ovviamente assenza totale di vertigini.
Inizia la salita verso una prima quota, che peraltro rappresenta la massima
altitudine della montagna. Dalla cima il percorso è ancora lungo ed impegnativo
ma l'impatto emozionale che si ha per giungere è tale che se lo si supera il più
è fatto. Superiamo i punti più difficoltosi scendendo leggermente dalla linea di
cresta reggendoci con le mani alle rocce sovrastanti. In realtà sarebbe
possibile progredire per lunghi tratti camminando direttamente in cresta ma non
è certamente un atteggiamento da consigliare, è sempre sciocco rischiare
inutilmente; nei tratti più esposti si deve scendere e proseguire camminando
lateralmente reggendosi alle rocce.
Giungiamo all'antecima che peraltro risulta essere leggermente più
alta della vetta vera e propria. Proseguiamo intenzionati a raggiungere la vetta
e poi la Penna di Campocatino, bastione roccioso a Picco sulla omonima vallata,
ma abbiamo una brutta sorpresa: una frana ha distrutto un lungo tratto di via su
roccia che porta A quest'ultima cima.
Andiamo a verificare ma il passaggio è impraticabile
per un gruppo, ( ci andranno solo due temerari) si dovrebbe arrampicare un tratto molto esposto. A
malincuore rinunciamo a proseguire, ci fermiamo però ad ammirare il panorama e a
scambiarci impressioni. Sono positive perché anche se non possiamo completare
l'itinerario il tratto effettuato è suggestivo. Ci attende ora la traversata di ritorno,
oramai siamo abituati alle ripidissime pareti, tutto ci appare più facile. E'
proprio in questi momenti che non bisogna allentare l'attenzione, la troppa
sicurezza potrebbe tradire.
Ritrovati gli amici che ci attendevano all'inizio della cresta ci
apprestiamo a scendere. Non è affatto facile, le rocce, spesso nascoste, sono
viscide e il paleo, che comunque non garantisce mai tenuta, nasconde le buche e
garantisce numerose cadute, per fortuna mai traumatiche.
Seguiamo sempre la traccia con estrema cautela, ma questo non ci evita il solito
scivolone e per di più sempre su spinosi cardi.
E' già un bel pò che camminiamo e la fame si fa sentire, quindi decidiamo di
fermarci per il pranzo, e naturalmente quando c'è Bruno non può chiudersi che
con un buon caffè
e oggi ha portato anche le cialde di Montecatini, squisite!
Purtroppo delle brutte nuvole cominciano ad ammassarsi sulle pareti delle
montagne e la temperatura si è abbassata notevolmente, sarà meglio riprendere la
strada del ritorno.
L'ultimo tratto di discesa è, se possibile, ancora più
impegnativo: la traccia è pressoché inesistente e particolarmente insidiosa.
Attenzione alle rocce lisce, sono ricoperte di muschio scivoloso e le buche
nascoste dal paleo sono numerose, bisogna scendere con estrema cautela fino a
ritrovare il sentiero.
Adesso possiamo ammirare con più attenzione l'ambiente che ci circonda.
Siamo quasi giunti a Campocatino e alle nostre spalle si scatena un forte
temporale, lampi e tuoni minacciosi, le prime gocce di pioggia iniziano a cadere
ma ormai siamo vicini e ci portiamo decisamente e velocemente al parcheggio.
Meno male che il maltempo non ci ha sorpreso sulla cresta saremmo stati
veramente nei guai!