Prima escursione del 2014 la vogliamo inaugurare
cimentandoci in uno degli scenari più belli e selvaggi delle Apuane.
Tanto selvaggia che è una delle zone meno conosciute da chi pratica
escursionismo, tale disinteresse è dovuto principalmente dalla morfologia aspra,
dalla mancanza di rifugi e i pochissimi sentieri segnati che sono di notevole
impegno.
Iniziamo l'escursione dalla località di Renara a quota 310 mt .
Questa località la si può raggiungere da
Massa si segue via Bassa Tambura in direzione
Forno, a 4 Km si incontra Canevara a 6,5 Km a
sinistra la strada si dirige a Forno, si
continua invece per il ramo di destra, si
superano le Guadine, si lascia a sinistra la
deviazione per Casania e subito dopo si trova la
deviazione a destra per Renara, prima di
arrivare all’abitato di Gronda.
Siamo sul piazzale dove termina la strada, già da quì si ha la percezione del
luogo isolato, unico segno di vita è una vecchia costruzione adibita a ovile.
Indossiamo gli zaini e via si parte per la nostra avventura.
Iniziamo il percorso prendendo il sentiero n° 162, chiamarlo sentiero è un'
eufemismo, si tratta infatti di entrare nel greto del canale cosparso di enormi
massi porti giù dalle piene del torrente, sulla nostra sinistra dietro l'ovile
parte la lizza che porta alla monorotaia ( vedi escursione del 2010 http://www.apuano.com/relescursi/2010/0009%20monorotaia.htm
), naturalmente noi proseguiamo dritti, poco dopo troviamo tracce di quello che
resta di una vecchia strada marmifera che portava a una cava soprastante e in
breve giungiamo a casa Bonotti a quota 495 mt., casa appunto della famiglia
Bonotti che ne coltivava degli appezzamenti su terrazzamenti ancora oggi
visibili.
Lasciamo il sentiero 162 e prendiamo una traccia che parte sulla sinistra appena
superata la casa.
Si sale subito ripidamente da prima seguendo un sentiero e poi, segnalato da
ometti, risalendo dietro casa Bonotti riprendiamo la lizza vera e propria.
Davanti a noi si apre un mondo molto selvaggio lontano da quello che si può
immaginare chi non è mai stato in questi luoghi.
Procediamo rendendoci subito conto che non sarà una passeggiata il tracciato si
presenta subito molto erto, infatti la pendenza media di questa lizza è il 50% e
in alcuni tratti raggiunge ache 80%. Pensate a quali immani fatiche dovevano
sopportare quegli uomini!
Andiamo avanti faticosamente ci fermiamo di sovente per ammirare il paesaggio
che ci circonda: pinnacoli e creste da paura, pareti vertiginose e orridi
canali.
Giungiamo alla prima vera difficoltà, in questo tratto in corrispondenza di un
canale la via e franata e il passaggio è al quanto ridotto, alla parete sono
state fissate dei cavi: uno metallico e una seconda corda e questo
facilita sicuramente l'attraversamento.
Passiamo tutti senza problemi e riprendiamo la via di lizza che non cessa di
salire ripidamente.
Proseguiamo tra costoni e canaloni ci prendiamo un bello spavento quando alcuni
sassi piovono dall'alto, probabilmente qualche capra selvatica li ha smossi.
Troviamo un'altro tratto franato circa 10 mt. ma qui si passa agevolmente e
comunque anche qui è stato fissato un cavo; vorrei ringraziare chi ha messo
questi cavi ma comunque quest'ultimo quando ho visto com'era fissato non è che
mi ha tanto convinto, infatti la parte terminale era aggiunta ad un vecchio cavo
elicoidale arrugginito e di chi sa quanti anni fa!
Riprendiamo il cammino sulla lizza che prosegue ancora molto ripida e ad un
tratto scompare e dobbiamo orientarci un pò a occhio, comunque sono presenti
alcuni " ometti" in pietra; anche se la lizza in questo tratto non è molto
evidente, sappiamo che le lizze perseguono in linea retta il più possibile e
quindi vedendo la cava, ormai vicina, capiamo anche da che parte prosegue.
Seguiamo la via segnalata con degli " ometti" e proseguiamo su un ripiano
erboso, il sentiero è abbastanza marcato che ci conduce ad uno sperone di roccia
abbastanza infida e anche qui troviamo dei cavi che ci aiutano a passare questo
facile passaggio.
Siamo di nuovo sulla lizza e vediamo sopra di noi un muretto a secco e il tetto
di una costruzione, sappiamo che in corrispondenza di una particolare formazione
rocciosa formata da guglie ci sono i resti della cabina elettrica e i macchinari
per la lavorazione di escavazione e taglio dei blocchi di marmo. Le guglie sono
sopra di noi, le costruzioni le intravediamo e allora prendiamo sulla sinistra
della lizza e prendiamo un sentiero che da prima sembra sparire ma è solo un po'
nascosto dalle stipe e infine ci conduce nello spiazzo dei macchinari a quota
910 mt.
Ci fermiamo per riposarci un po' e intanto esploriamo il sito, è interessante
vedere questi resti di archeologia industriale ma tutti noi veniamo attirati
dalle guglie
che ci sovrastano, molto suggestive e misteriose.
Riprendiamo il cammino e costeggiando i caseggiati riprendiamo la via di lizza
dirigendoci vero la cava che ormai è a vista, raggiuntala no entriamo in quello
che era il vero sito di scavo ma ci dirigiamo verso sinistra.
Certo che quì ci rendiamo conto proprio che questa era proprio la casa del
diavolo. La denominazione Chiesa del Diavolo ci fa capire proprio dove era stata
arroccata questa cava proprio spersa in uno dei posti più orridi e anche
spaventosi delle apuane. Del resto anche Ferdinando Bertelli, uno degli ultimi
proprietari della cava ( che fu abbandonata negli anni 50), nel tentativo di
esorcizzare l'appellativo di Chiesa del Diavolo volle sostituirlo con quello più
bene augurante di cava Paradiso. I fatti tuttavia dovevano dargli torto: lo
sfruttamento del giacimento non si rivelò vantaggioso economicamente e la cava
fu presto abbandonata.
Come detto proseguiamo sulla sinistra della cava ed entriamo in un boschetto
percorrendo il sentiero giungiamo ad un'altra costruzione con macchinari,
interessanti i
grandi
ingranaggi, belli anche alcuni
cunei che
venivano usati per spaccare i blocchi di marmo.
Superata la casa il sentiero diventa ben poco visibile e presto ci troviamo
davanti a pareti ripide, qui sono state fissate delle corde che ormai sono
alquanto datate e anche abbastanza marce. Il terreno è abbastanza infido, la
roccia friabile e terreno scivoloso.
Con qualche difficoltà giungiamo sotto le pendici del monte Macina e la cresta
del Vestito. Dobbiamo attraversare un traverso abbastanza delicato. Dobbiamo
dire che questo tragitto era la via consueta dei cavatori che probabilmente
venivano da Arni per lavorare alla cava e ce ne danno la prova i numerosi
fittoni metallici e anelli che sono sulle rocce, e noi ci domandiamo se erano
più alpinisti che cavatori,
probabilmente quanto di più audace e temerario
sia stato concepito e realizzato dai cavatori di un tempo: ripidissimi pendii di
erba, rocce friabili e tetri canaloni senza fondo, il tutto nella cornice
dell’ambiente più grandioso e selvaggio delle Apuane.
Attraversato il traverso entriamo in un bel bosco risaliamo un pendio e.....si
perde il sentiero. Dopo uno sperone roccioso il sentiero scompare nel paleo e
non riusciamo subito a ritrovarlo eppure è lì davanti a noi, non dovevamo far
niente, solo proseguire dritto. Riprendiamo il cammino, siamo sempre nel bosco e
ci troviamo a dover scendere in un canale, un pò di difficoltà per poter
aggirare una formazione rocciosa e una volta attraversato il canale ci troviamo,
stranamente , su un sentiero abbastanza ampio, lo percorriamo e in breve ci
troviamo sul sentiero n° 150 della Cresta del Vestito, quello che dalle Gobbie
porta a Passo Sella. Lo percorriamo in direzione sud e raggiungiamo in breve il
Passo del Vestito a quota
1151.
Ci fermiamo un attimo per riprendere fiato e dissetarci saliamo per un centinaio
di metri su quello che sappiamo esser l'ultima salita e giungiamo al passo: si
tratta di un valico alpestre che si affaccia sull'orrido vallone di Renara di
fronte all'elegante profilo del M. Sagro. A pochi metri dal passo si apre
l'imbocco di un bunker facente parte del complesso sistema di fortificazioni,
noto come "Linea Gotica", creato dai Tedeschi durante il secondo conflitto
mondiale.
Guardiamo verso il basso vediamo lontano ancora maledettamente troppo lontano
dove dobbiamo giungere; prendiamo un bel respiro come chi deve tuffarsi e
iniziamo la discesa, la ripidità viene accentuata dalle foglie di faggio e la
terra umida che aumentano l'instabilità del passo e dobbiamo stare molto
attenti a non scivolare, farsi male qui sarebbe un guaio molto grosso!
Il tracciato segue in una gola sovrastati dal Monte Pelato, una delle propaggini
del Monte Altissimo, ogni tanto troviamo alcuni scalini scolpiti nella roccia,
ma anche tratti molto esposti da non sottovalutare, notiamo che da l'ultima
volta che siamo stati qui i segni bianco rossi del sentiero sono stati rifatti
nuovi e nell'attraversamento di un canale molto insidioso è stata messa una fune
d'acciaio per sicurezza.
Sembra proprio che la discesa non finisca mai, le ginocchia cominciano a
protestare e sinceramente se fossimo già arrivati ne saremo anche felici:
Attraversiamo alcuni canali e giungiamo a dei ravaneti e detriti di cava molto
instabili, dobbiamo fare molta attenzione perché il passo è molto precario su
questo terreno.
Finalmente superiamo anche questo tratto di rocce e usciamo su una vecchia via
di cava, purtroppo la strada che giungeva sino qui in prossimità di casa
Bonotti è stata spazzata via dalle acque del torrente in piena, ci rassegniamo e
percorriamo praticamente il letto del torrente ancora tra detriti ma la nostra
meta è vicina e già sentiamo l'abbaiare dei cani del pastore e belare delle
capre, dopo circa 8,30 ore dalla nostra partenza arriviamo alle auto, ci dà il
benvenuto il gregge che rientra all'ovile.
Siamo stanchi ma come ogni volta felici di esser stati assieme condividendo
fatiche e soddisfazioni, appagati da un mondo che ancora esiste che purtroppo
pian piano va sparendo nell'oblio dell'indifferenza di molte persone che
potrebbero salvare i luoghi che abbiamo visitato. Salvare questa lizza e le
altre fosse solo per rispetto a tutti quegli uomini che hanno contribuito a
formare la nostra civiltà e per portare a conoscenza anche delle generazioni
future quali " Eroi " esistevano una volta, tanto tempo fa!