Ora cercherò di raccontare una
settimana di trekking non su alte vette aguzze delle Dolomiti o
delle Alpi ma di una settimana passata su una splendida
isola che è la Sardegna.
Per
posizione geografica e per la sua storia, la Sardegna
rappresenta una delle mete più ambite a livello internazionale.
Secondo la leggenda Dio formò l’isola con il suo piede
attribuendole, quindi, l’ormai famosa forma di sandalo, da cui
gli antichi attribuirono il nome. Rispetto alla maggior parte
delle aree europee, l’isola mantiene un clima mite per 365
giorni all’anno ed un ambiente naturale ancora intatto, poiché
strenuamente difeso dalla popolazione che vive prevalentemente
di turismo , pastorizia e agricoltura, sfruttando le incredibili
risorse del territorio.
La Sardegna è nota, a livello
internazionale, per il mare cristallino e la bellezza delle
spiagge e delle innumerevoli insenature, spesso raggiungibili
solo via mare, nonché le numerose aree protette, dove, ancora
oggi, numerose specie di uccelli e pesci, e tartarughe,
approdano per riprodursi o come meta delle migrazioni. Meno
conosciute, ma non per questo meno affascinanti, sono le zone
interne dell’isola, che celano, nell’alone delle leggende, una
bellezza selvaggia e primitiva, fatta di storia antica mescolata
alla leggenda e alla religione.
Partiamo da Livorno
imbarcandoci sul traghetto della linea Moby, il nostro gruppo è
formato da 8 componenti: Bruno e Severina, Luca e Sabrina,
Alessandro e Giuseppina, Luigi ed Edo.
La nave salpa puntuale
alle ore 23:00 come da orario e la navigazione si rivela
tranquilla; approdiamo al porto di Olbia alle ore 07:00 e una
volta recuperato il nostro furgone partiamo immediatamente alla
volta di Alghero.
Una volta raggiunto cerchiamo la località
di Guardia Grande per giungere al B&B "Graziano e Barbara,
posto
in mezzo alla natura e ai vigneti. Ci troviamo nei pressi di una
delle zone protette più belle della Sardegna, il Parco di Porto
Conte, situato nel promontorio di Capo Caccia.
Vicino alle spiagge di Mugoni,
Porticciolo e Porto Ferro.
Veniamo accolti molto
calorosamente dalla Signora Barbara che
subito ci fa sistemare nelle nostre accoglienti camere.
Una
volta sistemati non perdiamo tempo e subito ci dirigiamo verso
Bosa per andare a visitare il litorale di Torre Argentina.
Percorriamo la strada provinciale che conduce ad Alghero e
da qui per Bosa. L'ingresso principale alla località è situato
in prossimità del 7° km della Strada Provinciale 49, che
collega, appunto, Bosa ad Alghero.
Per entrare dobbiamo
passare di fianco ad un cancello, e poi seguiamo delle tracce di
sentiero o procediamo a vista tra la bassa vegetazione sino a
raggiungere il promontorio calcareo dove sulla sommità sorge una
torre aragonese, costruita
verosimilmente nel 1587.
Aveva il
compito di avvistare e segnalare l’arrivo del nemico. E’
costituita da un solo piano con volta a fungo e vi si accedeva
tramite un ingresso collocato a tre metri dal suolo.
Era
presidiata da un alcade e due soldati e dotata di tre fucili ed
un piccolo cannone; inoltre è in collegamento visivo con la
torre di Bosa, più a sud, e di Colombargia.
Ci
sistemiamo sulle piatte rocce e consumiamo il nostro pranzo al
sacco, un pò frugale ma non ci siamo fatti mancare del buon
canonau e naturalmente quando c'è Bruno neanche un bel caffè! Al
profumo del caffè si sono unite a noi anche due turiste spagnole
con le quali Edo ha giovialmente fraternizzato sfoggiando il suo
spagnolo: c'è rimasto un po' male che se ne sono andate via
presto!
Certo che il panorama è bellissimo il mare è limpido
e color cobalto con fondali non troppo profondi, tutt'intorno
all'area si aprono diverse calette dove la sabbia è sostituita
da rocce piatte.
Ma parlando e ammirando il panorama che non
ci stanca mai decidiamo che ci potrebbe essere tempo per
effettuare un'escursione alla Ferrata della Regina.
Questa
ferrata si trova nel paese di Monteleone Roccadoria. Il paese di
Monteleone si può raggiungere rapidamente se si proviene
da Alghero, seguendo la SS292 per Villanova Monteleone.
Attraversato questo centro si proseguirà lungo la stessa strada
che, attraversato il lago, conduce fino al bivio di ingresso di
Monteleone Roccadoria (così chiamato perché intorno al 1400 fu
una roccaforte dei Doria di Genova i quali vi costruirono anche
un castello).Un borgo della Sardegna nord-occidentale, in
provincia di Sassari, arroccato su un colle di tufo calcareo
immerso in un contesto naturalistico intatto, circondato dal
Lago del Temo e di fronte al maestoso parco
naturalistico del Monte Minerva.
Attraversiamo il paese e con le indicazioni che abbiamo
scaricato da internet troviamo abbastanza facilmente il punto di
partenza.
Attraversiamo il paese sulla via principale e ci
dirigiamo verso il comune, una volta superato continuiamo sino a
raggiungere uno slargo con una caratteristica chiesetta
di Santo Stefano, edificata all’inizio del Duecento, in
stile tardo-romanico.
Sulla sinistra vi è una bacheca che indica i vari
itinerari tar cui la ferrata della Regina (sviluppo
della ferrata). Leggiamo che
l'attacco è a soli quindici minuti, quindi indossiamo subito
l'imbrago e ci dotiamo del kit da ferrata: dissipatore e
caschetto.
Imbocchiamo la strada panoramica dopo un centinaio
di metri, sulla sinistra, parte il sentiero d'accesso alla
ferrata, anche quì segnalato da un cartello.
Lo seguiamo in
discesa seguendo un corrimano che ci porta sino alla base delle
grandi falesie calcaree, dove
si trovano numerose vie per l'arrampicata sportiva. Giunti ad
una fonte scavata nella roccia (Funtana 'e ziu Ainzu) si procede
ancora per una ventina di metri, fino alla bacheca che segnala
l'attacco della via ferrata.
Notiamo subito l'attacco e con
nostro disappunto notiamo che il primo tratto, almeno, è assai
strapiombante, hoi hoi povere braccia! La salita inizia con una
rete fatta con cavi in acciaio incrociati detta filet, tipo
quella delle vecchie navi per salire sulle vele.
Una volta
salita ci troviamo sulla roccia e quì qualche problema c'è,
infatti è costantemente strapiombante, qui lavoriamo di braccia!
Poi, dobbiamo affrontare un lungo traverso ancora strapiombante
ma meno impegnativo, aggiriamo uno spigolo e poi finalmente
proseguiamo su una parete in verticale più appoggiata.
Abbiamo terminato la prima sezione, camminiamo su un'ampia
cengia, ora che procediamo con calma notiamo moltissimi fossili
marini e conferma che questo anticamente era fondale marino;
notiamo anche due antiche vasche scavate nella roccia, chi sa da
chi e perchè?
Continuiamo su facile tracciato e arriviamo ad
un bivio
dal quale, volendo, è possibile uscire (via di fuga verso la
strada panoramica).
Noi proseguiamo lungo la cengia superando
due facili passaggi parzialmente protetti o gradinati. In circa
10 minuti si arriva ad un cartello indicatore dove prendiamo a
sinistra per scendere lungo una scala metallica alta 10 metri
che conduce ad una cengia sottostante, da quì iniziamo ad avere
una bella vista sul lago di Temo.
Il lago di Monteleone è un bacino artificiale di medie
dimensioni e forma irregolare ottenuto dallo sbarramento del
fiume Temo, con lunghezza di circa 7 Km e larghezza di poco più
di 3 Km nella parte centrale.
Prendiamo a sinistra seguendo
le indicazioni sino a che non dobbiamo scendere su una parete
che ci conduce ad un adrenalinico ponte tibetano lungo 20 metri.
Oltre il ponte la cengia diventa più stretta ma comunque
ben percorribile. Giungiamo, sempre su cengia, al libro di
vetta, o meglio di via in quanto non è posto al termine della
ferrata, due righe e riprendiamo il cammino. Percorsa la
cengia dobbiamo risalire per pochi metri su facile risalita ma
con terreno molto smosso e pe questo i caschetti sono molto
utili!
Siamo ora su una cengia molto ampia e suggestiva,
priva di difficoltà, caratterizzata da particolari erosioni
della roccia con molte concrezioni e resti fossili.
Infine
raggiungiamo l'ultima verticale di una trentina di metri su
roccia appoggiata e giungiamo sul comodo sentiero di rientro, lo
stesso che abbiamo percorso all'andata.
La ferrata ha uno
sviluppo tra andata e ritorno di 600mt, il dislivello di 60 mt
pos. la difficoltà la danno per difficile ma a parte la prima
parte assai strapiombante non vi sono grosse difficoltà, una
difficoltà potrebbe essere il ponte tibetano ma comunque è molto
stabile.
Tempo di percorrenza 2 h
Tutta la falesia è esposta a nord, pertanto in
primavera-estate prende sole esclusivamente nelle prime ore del
mattino mentre in inverno è sempre in ombra.
Torniamo
indietro verso i nostri alloggi per una doccia e un pò di
riposo, andiamo a cena e poi, finalmente, il giusto riposo,
siamo veramente stanchi!
Ed eccoci al secondo giorno,
facciamo una ricca e buonissima colazione e ci riforniamo di
panini per il pranzo, naturalmente anche del buon Canonau non
può mancare.
Poi via si parte alla volta di Capo Caccia.
Capo Caccia
(Cap de la Caça in catalano) è il nome del massiccio promontorio
calcareo che sporge dalla costa nord-occidentale della Sardegna.
Così come le scogliere che lo delimitano a nord e a sud esso è
caratterizzato da falesie alte fino a 203 metri a picco sul
mare. Lungo le pareti che guardano a ovest, in quella porzione
di costa che si eleva tra il belvedere della Foradada e le
Grotte di Nettuno, è proprio lungo le
pareti ovest di questo smisurato promontorio che si snoda la Via
Ferrata del Cabirol, un percorso attrezzato che permette
di inoltrarsi in un ambiente incontaminato.
Imbocchiamo la
SS55bis e seguiamo le indicazioni turistiche per " Capo
Caccia". Una volta giunti sul promontorio, al km 10,5
imbocchiamo sulla destra una variante panoramica che seguiamo
per circa 200 mt. fino al parcheggio del belvedere sull'isola
Foradada.
Dal parcheggio (
avvicinamento e
sviluppo ferrata) ci dirigiamo verso sud ( a sinistra
guardando l'isola di Foradada), imbocchiamo una traccia di
sentiero che si stacca dalla strada asfaltata. Sul sentiero non
vi sono segni ma in caso di dubbi è sufficiente seguire il
limite roccioso delle falesie a picco sul mare prendendo come
rifermento e destinazione una piccola grotta visibile già dal
basso. Superata la grotta dei Vasi Rotti si procede ancora per
una quindicina di metri fino ad individuare un " omino" di
pietre sul bordo della falesia. Superiamo un varco a destra
nella vegetazione che permette di accedere ad un terrazzino dove
una bacheca che indica l'attacco della via ferrata. Partiamo in
discesa assicurandoci al cavo per il primo facile passaggio; da
quì abbiamo accesso alla cengia bassa. Camminiamo in
un passaggio tra massi franati chi sa quando e proseguiamo senza
cavi dato la facilità del percorso e quindi non presentando
difficoltà tecniche, la facilità di progressione ci permette
anche di ammirare dei begli scorci sul mare e sulle pareti che
ci sovrastano.
Ci troviamo in corrispondenza di un grosso
tetto roccioso e la cengia si restringe fino a poche decine di
centimetri su pendio sabbioso ed un cavo protegge questa
sezione, oltre la quale si giunge in pochi minuti al termine del
percorso basso, dove ha inizio la verticale gradinata. La
verticale da salire sviluppa circa 25 metri con un lieve
strapiombo che richiede un minimo di praticità nell'uso della
doppia longe. Davanti a noi, distante qualche centinaio di
metri, si nota la stupenda Scala del Cabirol e la mole imponente
del promontorio con il faro di Capo Caccia (186 metri, il faro
più alto d'Italia, costruito nel 1864).
Al termine della
verticale riprendono i cavi del traverso, verso sinistra, con
una alternanza di piccole verticali gradinate e nuovi traversi
esposti.
Arriviamo così ad un altro cavo su pendio, che aiuta
a risalire 30 metri di pietraia (attenti alla caduta pietre)
fino ad arrivare al livello della cengia superiore.
La
cengia alta è decisamente più tecnica ed impegnativa di
quella bassa, tuttavia i numerosi traversi esposti e le discese
gradinate sono sempre ben protetti.
Camminiamo su roccia in
un primo curioso interstrato inclinato e arriviamo un
terrazzino dove, all’interno di un box inox, si trova il
libro-via e dove lasciamo un nostro pensiero. Proseguendo sulla
cengia protetta troviamo due piccole verticali gradinate
da affrontare in discesa e quindi il passaggio chiave del lungo
traverso con passaggi lievemente strapiombanti.
Al suo
termine procediamo ancora su un'esile cengia e
attraversiamo un piccolo bosco sospeso che ci conduce all’ultima
verticale da scendere.
Ormai sentiamo di essere vicini
all'uscita, una sequenza di passaggi che alternano larghe cenge
a passaggi più esposti ci porta alla bacheca ed all’ultima
piccola e facile verticale di uscita.
Una volta usciti ci
ritroviamo tutti esultati e felici per aver fatto questa
bellissima ferrata del Cabirol, proprio degna di
questo quadrupede noto per essere un eccezionale arrampicatore.
Sospesi ad un’altezza variabile tra i 150 ed i 208 metri sul
livello del mare, spesso costretti ad avanzare in punta di piedi
tanto è stretta la via, non c’è dubbio che ci siamo sentiti in
tutto e per tutto simili a dei caprioli.
Ma il punto non è
questo. Il punto è che quanti l’hanno percorsa ci dicono
piuttosto di essersi sentiti più simili a creature alate. La
bellezza incontaminata, in cui si penetra attraverso la Via, gli
scenari vertiginosi, il senso d’infinita apertura dello sguardo,
danno poi motivo di credere che le creature alate in cui è
possibile immedesimarsi lassù siano non comuni uccelli, bensì
veri angeli.
Intendiamoci bene, la Via Ferrata del Cabirol
non è per tutti: è un percorso classificato di media difficoltà,
per affrontarlo bisogna avere attrezzature adeguate e
soprattutto una certa esperienza. Angeli non si nasce, si
diventa!
Qualche riflessione sulla ferrata:
Senza dubbio è
la più frequentata tra i percorsi attrezzati che sono in
Sardegna, nota a tutti gli appassionati di questa attività, si
tratta di un percorso di pura soddisfazione e totale immersione
in un ambiente costiero estremamente selvaggio.
emozionanti
verticali alte fino a 170 mt. sul mare e traversi su esili cenge
possono essere goduti fino in fondo grazie all'ottimo
attrezzamento dei passaggi e alla loro continua manutenzione.
Percorso piacevole e interessante anche per la possibilità di
osservare preziosi e rari endemismi. Da non perdere!!!
Anche
questa è fatta, e fatta bene ora ben carichi di adrenalina,
riprendiamo la via di ritorno verso il parcheggio .
Seguiamo
il bordo della falesia camminando tra arbusti di lentisco verso
nord, fino ad arrivare in vista del parcheggio e delle auto che
si raggiungiamo in circa 15 minuti.
Ci liberiamo di imbraghi,
dissipatori e caschetti e li sostituiamo con i panini, il vino e
il necessario per il caffè, troviamo un bel posto con una
magnifica vista sull'isola Foradada, sul mare circostante e il
promontorio dove si sviluppa la ferrata e ci gustiamo il nostro
pasto tra amenità varie, un bicchiere di buon vino e il caffè di
Bruno.
Ci siamo riposati abbastanza e ci chiediamo dove
possiamo andare per terminare la giornata e la scelta cade sulle
spiagge di Stintino.
Stintino è' un
piccolo borgo marinaro sito su un promontorio (Capo
Falcone) all'estremità nord-occidentale della costa
della Sardegna, in provincia di Sassari,
da cui dista 50 km. Possiede una delle coste più affascinanti
dell'intera regione, con spiagge dalla sabbia bianchissima,
acque cristalline e uno dei mari più belli dell'intero
Mediterraneo. Con i suoi panorami mozzafiato, una natura
selvaggia e incontaminata, lontano dalle città più grandi,
Stintino è un vero paradiso per gli amanti del mare, a contatto
con un ambiente ancora puro ed inalterato.
Una delle
più belle spiagge d'Italia, i profumi della macchia
mediterranea, rocce granitiche, salsedine e sole regnano sovrani
sulle spiagge, prima tra tutte quella della Pelosa,
il simbolo di Stintino. Ancor prima di arrivarci, si possono
ammirare dall'alto le trasparenze del mare e le sue incredibili
colorazioni che vanno dall'azzurro al celeste fino al turchese.
La spiaggia della Pelosa, a nord di Stintino, è certamente tra
le più belle della Sardegna e dell'Italia. Inoltre, è tra le più
note mete turistiche internazionali, capace di coniugare il
fascino del borgo di pescatori con strutture ricettive di
altissimo livello. La distesa di sabbia, bianchissima, con
l'acqua cristallina e bassa per un centinaio di metri, ricorda
una spiaggia tropicale. E' protetta dal mare aperto dai
faraglioni di Capo Falcone, dall'isola
Piana e dall'Asinara: ciò spiega anche
perché l'acqua sia sempre calma nonostante qui soffi il
Maestrale, il vento freddo del nord-ovest. Di fronte alla
spiaggia, la torre aragonese della Pelosa (1578), Dà il nome
alla spiaggia ed è visitabile a piedi (sempre dalla spiaggia).
Poco distante, l'isola Piana, così chiamata perché assolutamente
piatta. Veniva usata un tempo come pascolo per il bestiame:
vista la distanza minima dalla costa, gli animali venivano
portati a nuoto.
L'Asinara bella e disabitata
- L'Asinara, Parco Nazionale e Oasi naturalistica
è quasi immune dalla presenza umana. E' possibile
visitarla anche se molte spiagge sono interdette al pubblico, ma
si può visitare l'isola contattando il Parco nazionale.
Lasciata l'auto ci dirigiamo verso la spiaggia e iniziamo a
camminare tra gli scogli e piccole spiaggia di sabbia
bianchissima, Luigi è temerario e fa un tuffo nel mare
invitante, ma dalla velocità che ha nell'uscirne si capisce che
è alquanto fredda.
Noi continuiamo la nostra passeggiata e
siamo al punto più a nord della penisola che facciamo torniamo
indietro? Neanche a parlarne iniziamo a salire su per la
scogliera e in breve siamo in vetta a Punta Negra, da quì
abbiamo veramente il paradiso sotto di noi, le splendide acque
cristalline di mille sfumature diverse, le isole dell'Asinara e
l'isola Piana, tutto il golfo di Stintino si è davvero un
paradiso! (foto)
Rimaniamo giusto un pò per goderci tanta bellezza ma poi la
stanchezza anche di questa giornata ci consiglia di tornare
verso casa e riposarci un pò, ancora ce ne è da fare.
E siamo
al terzo giorno:
Sveglia e colazione
e subito pronti per partire alla volta di Dorgali nel Nuorese,
il nostro raggio d'azione si sposta nel Supramonte.
Il
Supramonte è un complesso montuoso di altopiani carbonatici che
occupano la parte centro-orientale della Sardegna. Si estende su
una superficie di circa 35.000 ha (350 km²), occupando gran
parte del territorio di Oliena, Orgosolo, Urzulei, Baunei e
Dorgali, località situate lungo la base delle imponenti pareti
calcaree che delimitano i confini degli altopiani. Tali
frontiere naturali seguono verso settentrione l'alto corso del
fiume Cedrino e, verso meridione, il corso del rio Olai. (Da
Wikipedia)
Giungiamo a Dorgali dopo un viaggio di circa due
ore dopo aver individuato il nostro albergo e preso possesso
delle camere cerchiamo il modo di passare il resto della
giornata, la scelta cade sull'escursione da Cala Fuili a Cala
Luna, una delle spiagge più belle del mediterraneo.
Ci
dirigiamo verso Cala Gonone e da quì in direzione sud
sino a Cala Fuili lasciamo e auto, anche perchè termina la
strada, imbocchiamo il sentiero per Cala Luna.
Subito sotto
di noi a strapiombo abbiamo Cala Fuili col mare
trasparentissimo, verso nord osserviamo la costa ancora bassa,
sullo sfondo l'abitato di Gonone e il roccione di Biddiriscottai;
voltandoci verso sud vediamo l'inizio della costa alta che
termina nella zona di Baunei con un alternarsi di numerose
codule e piccole spiaggette
Percorriamo la scalinata che ci
porta alla base di Cala Fuili, poi ci dirigiamo frontalmente
verso l'altro costone per iniziare la salita attraverso gradini
più o meno naturali che ci portano ad un livello più alto
rispetto al punto di partenza.
Durante l'escursione godiamo
della meraviglia del paesaggio ancora intatto: il mare che
assume delle sfumature di colore dal blu notte al verde smeraldo
sino a sfumature ancora più chiare, i ginepri contorti e
modellati dal vento, la macchia mediterranea tutta con i suoi
profumi, il rosmarino, il corbezzolo, il lentischio - che
meraviglia - una festa di colori e profumi.
Dopo circa
un'ora incontriamo un piccolo anfratto naturale, la grotta di
Oddoana, ( Sarà Giusto il nome? ) siamo già a metà percorso.
Lungo il percorso ci inoltriamo dentro il bosco lungo una
discesa per poi riuscirne dopo la salita successiva ed ogni
volta lo spettacolo che si osserva dall'alto sembra quasi un
miraggio per quanto è meravigliosamente bello. A poco più di 10
minuti dall'arrivo sporgendoci sempre con attenzione verso il
costone vediamo dall'alto la spiaggia di Cala Luna, 500 metri di
spiaggia bianca chiusa a sud da uno stagno originato dallo
sbocco del rio Codula de Ilune (valle della luna) ricca di
oleandri.
Dopo aver apprezzato dall'alto la codula,
scendiamo verso la spiaggia il passo si fa più svelto, non
vediamo l'ora di rilassarci su questa bellissima spiaggia,
peccato che ancora sia presto per fare un bel tuffo nell'acqua
cristallina.
La spiaggia di Cala Luna
Il mare è tanto
trasparente che anche a grande profondità si vede il fondo, per
dei montanari come noi ammettere che questo mare è il Mare
significa che è eccezionale davvero!
Rimaniamo un bel pò ad
ammirare questo spettacolo della natura ma poi dobbiamo
riprendere necessariamente la strada del ritorno che corrisponde
a quella dell'andata.
Torniamo a Dorgali dove ci attende una
bella doccia e una buonissima cena e anche un bel letto per
riprendere un pò di forze.
Al mattino dopo siamo belli
riposati e ci attende un'escursione fantastica in uno dei posti
più affascinanti della
Sardegna: le Gole del
Gorropu.
Facciamo colazione, abbondante visto che ci attende
uno sforzo fisico non indifferente, comunque l'avremmo fatta lo
stesso, abbondante intendo!
E poi ci portiamo al luogo
d'appuntamento con le nostre guide
Corrado
Conca coadiuvato in questa occasione da Antonello.
L'appuntamento è davanti alla galleria per Cala Gonone
sulla SS125 Orientale Sarda.
Puntuali arrivano e veniamo
accompagnati in località Ponte S'Abba Arva dove lasciamo la
nostra auto e saliamo su un pulmino che ci condurrà all'inizio
della nostra escursione.
Come arrivare all'inizio della gola
mi è un pò difficile ma sò che abbiamo percorso la SS 125 sino a
Genna Silana (Passo) riconoscibile da varie strutture tra cui un
Hotel, hotel Silana a sinistra e una casa cantoniera a
destra.
Si continua sempre per SS 125 e dopo 6 gallerie
artificiali, le ho contate, arriviamo ad un bivio, sulla
sinistra Centro escursioni Gorropu, se ho visto giusto dovrebbe
essere il Km 177 al valico di Genna Cruxi. Prendiamo la strada a
destra stretta e tortuosa si inerpica fin sopra Planu Campu
Oddeu.
Dopo circa due Km proseguiamo dritti tralasciando una
deviazione a sinistra, la strada diventa sterrata. La strada
inizia a scendere in fitti boschi di querce regno di mucche,
asini e maiali che vivono allo stato brado.
Entriamo sulla
riva destra della Codula de sa Mela e la superiamo
attraversando un ponte di cemento. Raggiungiamo degli ovili,
ovili di Campos Bargios, incontriamo un altro bivio dove noi
proseguiamo dritti per almeno altri 2,5 km sino ad uno slargo
nella località Sedda Ar baccas, ( 12,5km dalla strada statale).
Sono stato bravo nella spiegazione? Si! Sono troppo bravo!
Stò scherzando non potrei mai ricordarmi così tanti
particolari e nomi di questi luoghi e che nomi poi! Mi sono
aiutato con la guida ben scritta dal nostro accompagnatore
Corrado, si tratta del libro " Il top del trekking in Sardegna "
edizioni Segnavia, lo stesso sarà per la descrizione del
percorso della Gola del Gorropu. Del resto non è che c'avevo
molto tempo per prendere appunti, come diceva Bruno era come
essere ad un luna park, attrazioni una dietro l'altra!
(
dalla Guida Il Top del Trekking in Sardegna ed. Segnavia)
Le alte pareti
delle rinomate Gole di Gorropu Caratterizzano un tratto del
lungo corso del rio Flumineddu. Spesso erroneamente definito il
canyon più profondo d'Europa, questa gola presenta in alcuni
punti pareti alte fino a 400mt, ed un dislivello complessivo,
tra il greto e la vetta di Punta Cucutos di 488 metri.
L'itinerario più breve e frequentato per visitare la gola
prevede l'ingresso dalla vallata di Oddoene, noi effettueremo la
traversata da monte a valle, più suggestiva ma anche più
complessa, sia dal punto di vista tecnico ma anche logistico.
Dallo slargo di Sedda Ar Baccas ci si sposta verso ovest per
prendere la traccia della strada sterrata che si inoltra nel
bosco, questo itinerario è indicato come CAI n.502, ma in loco
ci sono poche segnalazioni di tipo classico, dopo poche centinaia di metri incontriamo una prima
meraviglia, una pianta di
tasso centenario(taxus
bacata), un vero monumento naturale con un fusto
imponente, assolutamente straordinario per questa specie.
Riprendiamo il cammino e dopo breve, superato un fontanile, la
nostra guida ci richiama l'attenzione verso dei grossi massi, a
noi sembravano solo grosse pietre ma invece ci viene spiegato
che si tratta di quel che resta di una " Tomba dei Giganti"
così chiamate dalla fantasia popolare per via delle loro
dimensioni ciclopiche, sono strutture megalitiche di
forma allungata e absidata con all’interno un lungo (fino a 30 m) vano
rettangolare pavimentato
destinato a sepoltura
collettiva di numerosi defunti, il frontale si presenta a forma di esedra realizzata in modi differenti: con
lastre a coltello, purtroppo di tutta questa struttura rimane ben poco!..
Dopo tante spiegazioni, molto esaurienti e fatte con convinzione di causa,
capiamo solo che alla fine comunque molte sono le cose che si ignorano di
questa civiltà e del loro culto.
Superata la Tomba dei Giganti la strada
continua rettilinea ancora un centinaio di metri, fino a
diventare traccia di sentiero e piegando a sinistra si superano
alcune bancate calcaree.
Finalmente il sentiero si fa più
panoramico, arriviamo alle quote più alte di Su Schinale '
e s'Arraiga, ovvero la cresta spartiacque tra le grandi
depressioni del Rio Flumineddu e della Codula Orbisi.
Percorrere la cresta di questo sperone roccioso permette di
osservare, da un punto di vista privilegiato, alcuni tra i
fenomeni carsici più importanti dell'intero Supramonte. Sulla
destra, dove confluisce la Codula Orbisi, è infatti possibile
notare sulla parete la risorgente della grotta Donini, detta
Cunn'è S'Ebba, che in stagione invernale è caratterizzata da una
suggestiva cascata in parete. Più avanti, proseguendo su una
traccia di sentiero ben evidente, si giunge alla confluenza tra
queste due importanti gole, detta appunto Sa Giuntura. Seguendo
il greto del rio Flumineddu per circa 500 mt. si arriva presto
ad affacciarsi ad un primo grande lago, Sa Pischina 'è Orroppu,
che sbarra la strada, da questo punto in avanti si dovranno
superare una serie di passaggi che richiedono un minimo di
tecnica e sicurezza nei movimenti su roccia.
Questo primo
lago si può superare utilizzando un cavo d'acciaio posto sulla
riva sinistra seguito da altri corrimano che riportano verso il
greto del torrente in secca. Dopo circa 150 mt. ci si trova
davanti ad un altro lago, posto qualche metro più in basso, qui
è necessario spostarsi sulla sinistra di una ventina di metri
per aggirare e raggiungere una cornice rocciosa che permette di
attraversare più in basso la linea di scorrimento dell'acqua. Un
terrazzo permette infine di ridiscendere fin sul greto dove però
si potrà proseguire pochi metri perché presto ci troviamo di
fronte al bellissimo laghetto sotterraneo, un luogo estremamente
suggestivo. Per passare al di là vi sono dei cavi d'acciaio
molto deteriorati e per questo le nostre guide approntano una
linea con una corda ben più affidabile, visitando la pagina FB
di Corrado Conca ho visto che recentemente questi cavi
sfilacciati sono stati interamente sostituiti. Questo passaggio è
abbastanza impegnativo sia per la distanza degli appoggi sia per
la scivolosità delle rocce.
Giungiamo su un terrazzino e
scendiamo dalla parte opposta con l'aiuto di corde fisse che ci
riconducono sin sul greto del torrente in una zona sovrastata da
pareti imponenti: ci si trova ora nel pieno delle Gole del
Gorropu.
Il cammino da ora in avanti si svolge in passaggi su
roccia, brevi arrampicate, frequenti discese tra alti massi,
talvolta impegnative che richiedono molta cautela e buona
affidabilità.
Le pareti diventano sempre più alte e
vertiginose mentre il canyon disegna alcune anse strettissime
che in poco più di un'ora di stupore arriviamo allo sbocco nella
vallata di Oddoène.
Siamo al termine delle Gole e ci togliamo
gli imbraghi e l'attrezzatura di sicurezza, dobbiamo pagare
anche un biglietto (5€) per l'ingresso al sito.....ma noi
usciamo!!
Dopo un pò di rilassamento ancora con gli
splendidi scenari negli occhi, felici per la bella avventura,
prendiamo il sentiero di ritorno posto sulla sinistra del fiume,
indicato con il numero 485 segnavia bianco rosso del CAI,
peccato che questi segni ci siano solo all'inizio del percorso.
Il rientro è lungo e abbastanza monotono, ma senza particolari
problemi di orientamento, ( gli unici bivi conducono verso
l'alveo del fiume o verso le pareti in ripida salita) e
caratterizzato da un buon numero di sorgenti. In circa un'ora e
quarantacinque di cammino sulla mulattiera raggiungiamo il ponte
di S'Abba Arva dove abbiamo il nostro furgone che ci aspetta.
L'escursione è classificata EEA, ha un dislivello totale di -
580 mt. prevede 5/6 ore di marcia su uno sviluppo complessivo di
10km, la segnaletica è scarsa, solo qualche segnavia all'inizio
del cammino.
A mio parere è bene effettuarla con una guida
che conosca bene il posto, inoltre le distanze dal punto di
partenza e quello d'arrivo sono notevoli e con un'auto sola non
ci si può fare.
Una birra fresca e ci commiatiamo dalle
nostre brave guide e facciamo ritorno verso l'albergo a Dorgali
dove una meritata doccia, una bella cena e un bel sonno per
ritemprarci, ci attendono.
Il giorno seguente la decisione
dell'escursione cade su Cala Goloritze, uno dei tratti del
Golfo di Orosei dove mare e montagna si
incontrano in perfetta armonia.
Sempre con la SS 125
Orientale Sarda ci dirigiamo verso Baunei, una volta giuntivi
attraversiamo il paese e in prossimità della chiesa parrocchiale
imbocchiamo una strada sulla destra seguendo le indicazioni per
“Su Sterru” e “Goloritzé”. La
strada s’inerpica sull’altopiano e percorre l’antica “Bia Maore”
per raggiungere il suggestivo altipiano del Golgo. A circa 8,5
km da Baunei lasciamo la strada asfaltata, svoltiamo a destra
seguendo il cartello che indica “Su Porteddu” e percorriamo una
sterrata per 1 km circa sino ad arrivare al parcheggio custodito
dai ragazzi del Punto di Ristoro – Centro Escursioni “Su
Porteddu”.
Lasciamo il nostro furgone nell'ampio parcheggio,
a pagamento (5€) e seguendo un evidente segnavia in pietra
iniziamo il cammino verso la cala.
Stranamente per scendere
al mare prima dobbiamo salire, infatti il primo tratto è tutto
in salita e ci porta dai 410mt. di Porteddu ai 470mt. di una
piccola insellatura di Arcu Annidai, che è per l'appunto il
punto più alto dell'escursione. Da quassù la vista spazia
dall’ampia vallata di Golgo ad ovest sino alle cime
di “Monticlu” ad est passando per le pareti di “Serra e Lattone”
a nord.
Iniziamo la discesa tra bassi
arbusti di lentisco e fillirea su sentiero sempre ben evidente
ma privo di segnaletica, giungiamo poi in vista del largo solco
che scende direttamente verso il mare (Bacu Goloritzè).
camminiamo tra muretti a secco e raggiungiamo il punto dove il
sentiero inizia a scendere; scendendo, a ridosso di una parete
notiamo dei vecchi "Cuili " (ovili) ricavati in grotte.
Continuiamo e attraversiamo un punto caratterizzato da splendidi
e monumentali esemplari di leccio.
Il sentiero scende ben
evidente entrando ora in macchia mediterranea dove i profumi
delle piante ci inebriano: elicrisi, cisti, ginepri e gli
inconfondibili corbezzoli ancora senza frutti.
Il
sentiero scende ripidamente sempre tra l’imperterrito
ciottolato, che incita ad una certa attenzione nei passi.
Ci
colpisce il paesaggio aspro, quasi lunare creato da vaste
distese e valloni di ciottolato interminabile, una pietra
sull’altra, dove solo i ginepri riescono a crescere contrastando
il loro bianco.
Il mare si avvicina sempre più e si
incontrano mano a mano dei suggestivi rifugi di pastori (cuili),
usati anche per accamparsi la notte, nonché rami e tronchi di
alberi secolari in mezzo alla strada che rendono suggestiva la
camminata.
Attraversiamo un caratteristico arco di roccia
naturale, e proseguendo per una ventina di minuti si intravede
finalmente la punta della
Guglia Goloritze, un torrione di
roccia calcareo alto 120 metri: meta ambita per ogni climber che
si rispetti,
che vogliono
ripercorrere
i passi dei primi salitori : il grande
Maurizio Zanolla "Manolo" e Alessandro Gogna nel 1981 con la via
"Sinfonia dei Mulini a Vento".
Il panorama
intorno è maestoso, superbo, aspro e selvaggio, incredibilmente
solitario e silenzioso, con le possenti pareti calcaree del
canalone che sovrastano il luogo, piene di grotte, cavità e
alberi secolari.
Continuiamo a scendere mentre la Guglia
diventa sempre più alta, fino a costeggiarne la base, dove poco
più avanti si trova un’area di sosta con tavolini in legno.
Ancora pochi metri e la stupenda visione della cala lascia senza
fiato!
Scendiamo la ripida scala in legno che termina su un
pavimento liscio e roccioso, ed ecco di fronte il mare, con la
piccola spiaggia costituita da ghiaia minuscola e levigata.
Cala Goloritzé è come un dipinto nato da una
fantasia da sogno, oppure come un sogno dal quale non ci si
vorrebbe svegliare mai. E’ questo è il primo pensiero che salta
in mente alla sua vista.
La visione è straordinaria: sulla sinistra un gruppo di massi
delimita il confine della cala, a ridosso delle altissime pareti
verticali a nord dove, subito dietro, si trova un’altra
spettacolare spiaggia che è quella di Sisine; di fronte il mare
cristallino colorato di tutte le varietà di azzurro possibili ed
immaginabili; sulla destra invece si ammira il singolare arco di
roccia naturale sul mare, che rende tanto famosa Cala Goloritzè;
sul retro infine impressiona notevolmente la vista dell'Aguglia
che sovrasta la cala, e che appare, da una certa angolazione
della spiaggia, quasi la bocca di un immenso squalo.
Qui
sugli scogli siamo tutti assieme bagnanti, escursionisti e
alpinisti, tra zaini, costumi da bagno, scarponi e ciabatte:
tutti assieme a godere di tanta bellezza.
E dove fare il
nostro pranzo se non qui dove potremmo avere migliore vista?
Anche se mangiamo solo un panino saziamo ugualmente lo spirito,
quasi la fame fisica passa in second'ordine.
Prima o poi però
viene l'ora del rientro, ci attendono un paio d'ore di salita.
I tanti tratti ombreggiati e la piacevole brezza ci aiutano
a superare i tornanti del sentiero.
Ma ormai anche la salita
è giunta alla conclusione e non ci resta che ridiscendere a Su
Porteddu dove ci rinfreschiamo con una bella e fresca birra.
Rientro a Dorgali.
Siamo così, infine giunti al nostro ultimo
giorno di questa splendida vacanza, dopo esserci accomiatati dai
proprietari dell'albergo, partiamo alla volta di Porto san Paolo
ma ancora no siamo domi e per ultimo ci siamo tenuti
l'escursione dell'isola di Tavolara.
Come detto ci portiamo a
Porto San Paolo che raggiungiamo seguendo la SS 125 e si trova
ad appena 15 Km da Olbia.
Andiamo al porticciolo dove abbiamo
appuntamento con le nostre guide che ormai possiamo chiamarli
anche amici: Corrado e Antonello, facciamo i biglietti per il
traghetto e subito ci imbarchiamo per l'isola.
In poche
decine di minuti siamo al molo, attracchiamo e siamo già pronti
per la nostra escursione, assieme a noi si uniscono altre cinque
persone.
per descrivere anche questa escursione mi aiuterò
con la bella guida " Il top del trekking in Sardegna di Corrado
Conca, ediz. Segnavia"
Il percorso di salita alla vetta
dell'isola di Tavolara è uno dei percorsi più sorprendenti che
possa capitare di percorrere in Sardegna. Le caratteristiche che
lo rendono unico sono diverse, a cominciare dal fatto che si ha
la sensazione di effettuare una vera salita alpinistica in mezzo
al mare. L'isola ha infatti un'orografia talmente verticale e
affilata che i panorami sono sempre emozionanti e la vetta, se
non avvolta dal suo cappello di nuvole, per niente raro ( noi
non lo abbiamo trovato, per fortuna), offre una vista che ripaga
ampiamente delle fatiche della lunga salita. La tratta finale
della salita protetta da corde fisse, suggerisce di affrontare
questo percorso con una buona esperienza di progressioni di
questo genere.
Dal molo di sbarco prendiamo a destra, lungo
la costa, superiamo alcuni edifici, bar e ristorante. Dopo un
centinaio di metri raggiungiamo una strada asfaltata che
imbocchiamo, quì va precisato che stiamo entrando in una
proprietà privata e bisogna avere il permesso della famiglia
Marzano, se non si fosse riusciti a contattarli bisogna farlo
appena giunti sull'isola.
La strada supera un cancello e dopo
qualche curva, a 350 metri dal mare, in prossimità di uno slargo
si lascia e si entra su una vaga traccia di sentiero ( segno
rosso molto sbiadito) che si stacca sulla destra.
Ci
inerpichiamo subito in ripida salita e la traccia diventa sempre
più stretta e camminiamo tra radi alberelli e la fitta macchia
mediterranea, che devo dire ci martorizza le braccia
graffiandoci di continuo.
Raggiungiamo il primo fronte
roccioso dove con l'aiuto di corde fisse a superare dei passaggi
un pò complicati.
Arriviamo poi al culmine del primo grande
terrazzamento e continuiamo a seguire il sentiero verso
nord ovest e poi attraversiamo perpendicolarmente una prateria e
continuiamo alternando falsipiani con qualche salita.
Affrontiamo poi altri facili passaggi su roccia, qui è presente
anche una corda fissa.
Raggiungiamo un terrazzo erboso, qui
partono due sentieri che portano alla vetta, entrambe esposte e
protette da corde o cavi d'acciaio, noi prenderemo quello che
sale più a nord e scenderemo dall'altro.
Dal terrazzo
attraversiamo in lieve salita e ci dirigiamo verso un ampio
anfiteatro, superiamo una pietraia, fino a raggiungere un
caratteristico albero
proteso sul vuoto, da qui iniziamo a salire su placche rocciose
appoggiate fino ad uno sperone che ci appare insuperabile e dove
troviamo le prime tratte protette da cavo d'acciaio. Proseguiamo
su passaggi su roccia non particolarmente impegnativi ma dove e
necessario proteggersi con imbragatura e dissipatore, utile
anche il caschetto per il pericolo di caduta di pietre causate
accidentalmente da altri escursionisti.
Dopo aver percorso il
tratto protetto continuiamo a camminare ma adesso a vista verso
le creste, sempre verso i declivi rocciosi. Una volta in cresta
attraversiamo verso sinistra per raggiungere Punta Cannone a 565
m slm.
Superate
queste difficoltà la fatica è ampiamente ripagata dal
panorama mozzafiato, di impareggiabile bellezza e fascino della Punta Cannone, al cui culmine vigila la
Madonnina di Tavolara.
Da Punta Cannone
possiamo ammirare in direzione nord, Capo
Figari e tutta la Costa Smeralda,
riuscendo a scorgere la Corsica e le
Bocche di Bonifacio. A ovest si staglia invece la
zona costiera di Olbia, Porto Istana
e Porto San Paolo. A Sud-Ovest notiamo invece
Capo Coda Cavallo, l’isola di Molara
e Molarotto.
È come essere sulle Dolomiti con la grande differenza
che sotto c'è il mare e che mare! Il fondo attorno all'isola
è perfettamente leggibile ed i colori sono stupendi.
Rimaniamo circa un'ora per pranzare ma anche per goderci ogni
singolo minuto questo splendido spettacolo della natura.
ma
anche oggi arriva il moneto di riprendere la via di ritorno.
Ridiscendiamo dalla vetta sino alla sella che divide Punta
Cannone da Punta Lucca ( 546 mt) la punta secondaria dell'isola
e anche questa ci dicono molto panoramica, vorremmo andare anche
lì ma non c'è più tempo, per le 16:00 dobbiamo essere di ritorno
perché il battello non ci aspetta e l'ultimo in questa stagione
e appunto per quell'ora.
Alla sella bisogna individuare
alcuni segnali ( freccia rossa e ometti di pietre) che indicano
la via di discesa e dove troviamo la corda di protezione
ancorata a dei chiodi da roccia. La via di discesa non può
essere sbagliata almeno sino al termine dei circa cento metri di
corde dove, quando queste terminano, è necessario seguire i
segni rossi che attraversano verso destra per arrivare poi al
terrazzo dove siamo già passati sulla via di salita.
Non ci
resta che seguire il sentiero già percorso. Dalla vetta ci ha
richiesto circa due ore e adesso ci troviamo
seduti tutti assieme
ai tavoli del bar davanti ad una buona e fresca birra.
Siamo
felici per come abbiamo concluso questa splendida vacanza ma
anche un po' tristi non perché da domani torneremo alle nostre
attività ma perchè si avvicina il momento di lasciare questa
splendida isola, e anche la gente che la abita, persone
accoglienti e disponibili che ci hanno fatto sentire a nostro
agio.
Arrivati a Porto San Paolo ci congediamo dai nostri
amici/guide e a malincuore ci dirigiamo verso Olbia dove ci
imbarcheremo verso Livorno.
Bè
la settima è passata, passata splendidamente, vorremmo tanto
avere avuto qualche giorno in più a nostra disposizione, ma il
dovere ci chiama e poi da buoni toscani campanilisti sotto sotto
a casa ci torniamo anche volentieri. Si perché abbiamo visitato
posti stupendi ma la casa è la casa e la terra natia e la terra
natia, quindi anche noi ci accorgiamo che i legami alle nostre
origini sono forti.
Inoltre con queste escursioni siamo
stati a stretto contatto per molti giorni e abbiamo messo a dura
prova la nostra amicizia e devo dire che siamo veramente un
gruppo molto affiatato rispettosi l'uno dell'altro, magari
qualcuno un pò indisciplinato ma va bene così.
Adesso ho finito di tediarvi con tanti discorsi ma sentivo il bisogno di
condividere con tutti quest'esperienza che raccomando fortemente a chi potrà e
vorrà ripeterla.
Fine.