Dal 15 al 21 maggio in Sardegna

Ora cercherò di raccontare una settimana di trekking non su alte vette aguzze delle Dolomiti o delle Alpi ma di una settimana passata su una splendida
isola che è la Sardegna.
Per posizione geografica e per la sua storia, la Sardegna rappresenta una delle mete più ambite a livello internazionale. Secondo la leggenda Dio formò l’isola con il suo piede attribuendole, quindi, l’ormai famosa forma di sandalo, da cui gli antichi attribuirono il nome. Rispetto alla maggior parte delle aree europee, l’isola mantiene un clima mite per 365 giorni all’anno ed un ambiente naturale ancora intatto, poiché strenuamente difeso dalla popolazione che vive prevalentemente di turismo , pastorizia e agricoltura, sfruttando le incredibili risorse del territorio.
La Sardegna è nota, a livello internazionale, per il mare cristallino e la bellezza delle spiagge e delle innumerevoli insenature, spesso raggiungibili solo via mare, nonché le numerose aree protette, dove, ancora oggi, numerose specie di uccelli e pesci, e tartarughe, approdano per riprodursi o come meta delle migrazioni. Meno conosciute, ma non per questo meno affascinanti, sono le zone interne dell’isola, che celano, nell’alone delle leggende, una bellezza selvaggia e primitiva, fatta di storia antica mescolata alla leggenda e alla religione.

Partiamo da Livorno imbarcandoci sul traghetto della linea Moby, il nostro gruppo è formato da 8 componenti: Bruno e Severina, Luca e Sabrina, Alessandro e Giuseppina, Luigi ed Edo.
La nave salpa puntuale alle ore 23:00 come da orario e la navigazione si rivela tranquilla; approdiamo al porto di Olbia alle ore 07:00 e una volta recuperato il nostro furgone partiamo immediatamente alla volta di Alghero.
Una volta raggiunto cerchiamo la località di Guardia Grande per giungere al B&B "Graziano e Barbara,
posto in mezzo alla natura e ai vigneti. Ci troviamo nei pressi di una delle zone protette più belle della Sardegna, il Parco di Porto Conte, situato nel promontorio di Capo Caccia. Vicino alle spiagge di Mugoni, Porticciolo e Porto Ferro.
Veniamo accolti molto calorosamente dalla Signora Barbara che subito ci fa sistemare nelle nostre accoglienti camere.
Una volta sistemati non perdiamo tempo e subito ci dirigiamo verso Bosa per andare a visitare il litorale di Torre Argentina.
Percorriamo la strada provinciale  che conduce ad Alghero e da qui per Bosa. L'ingresso principale alla località è situato in prossimità del 7° km della Strada Provinciale 49, che collega, appunto, Bosa ad Alghero.
Per entrare dobbiamo passare di fianco ad un cancello, e poi seguiamo delle tracce di sentiero o procediamo a vista tra la bassa vegetazione sino a raggiungere il promontorio calcareo dove sulla sommità sorge una torre aragonese, costruita verosimilmente nel 1587.
Aveva il compito di avvistare e segnalare l’arrivo del nemico. E’ costituita da un solo piano con volta a fungo e vi si accedeva tramite un ingresso collocato a tre metri dal suolo.
Era presidiata da un alcade e due soldati e dotata di tre fucili ed un piccolo cannone; inoltre è in collegamento visivo con la torre di Bosa, più a sud, e di Colombargia.

Ci sistemiamo sulle piatte rocce e consumiamo il nostro pranzo al sacco, un pò frugale ma non ci siamo fatti mancare del buon canonau e naturalmente quando c'è Bruno neanche un bel caffè! Al profumo del caffè si sono unite a noi anche due turiste spagnole con le quali Edo ha giovialmente fraternizzato sfoggiando il suo spagnolo: c'è rimasto un po' male che se ne sono andate via presto!
Certo che il panorama è bellissimo il mare è limpido e color cobalto con fondali non troppo profondi, tutt'intorno all'area si aprono diverse calette dove la sabbia è sostituita da rocce piatte.
Ma parlando e ammirando il panorama che non ci stanca mai decidiamo che ci potrebbe essere tempo per effettuare un'escursione alla Ferrata della Regina.
Questa ferrata si trova nel paese di Monteleone Roccadoria. Il paese di Monteleone  si può raggiungere rapidamente se si proviene da Alghero, seguendo la SS292 per Villanova Monteleone. Attraversato questo centro si proseguirà lungo la stessa strada che, attraversato il lago, conduce fino al bivio di ingresso di Monteleone Roccadoria (così chiamato perché intorno al 1400 fu una roccaforte dei Doria di Genova i quali vi costruirono anche un castello).Un borgo della Sardegna nord-occidentale, in provincia di Sassari, arroccato su un colle di tufo calcareo immerso in un contesto naturalistico intatto, circondato dal Lago del Temo e di fronte al maestoso parco naturalistico del Monte Minerva.
Attraversiamo il paese e con le indicazioni che abbiamo scaricato da internet troviamo abbastanza facilmente il punto di partenza.
Attraversiamo il paese sulla via principale e ci dirigiamo verso il comune, una volta superato continuiamo sino a raggiungere uno slargo con una caratteristica chiesetta di Santo Stefano, edificata all’inizio del Duecento, in stile tardo-romanico.
Sulla sinistra vi è una bacheca che indica i vari itinerari tar cui la ferrata della Regina (sviluppo della ferrata). Leggiamo che l'attacco è a soli quindici minuti, quindi indossiamo subito l'imbrago e ci dotiamo del kit da ferrata: dissipatore e caschetto.
Imbocchiamo la strada panoramica dopo un centinaio di metri, sulla sinistra, parte il sentiero d'accesso alla ferrata, anche quì segnalato da un cartello.
Lo seguiamo in discesa seguendo un corrimano che ci porta sino alla base delle grandi falesie calcaree,
dove si trovano numerose vie per l'arrampicata sportiva. Giunti ad una fonte scavata nella roccia (Funtana 'e ziu Ainzu) si procede ancora per una ventina di metri, fino alla bacheca che segnala l'attacco della via ferrata.
Notiamo subito l'attacco e con nostro disappunto notiamo che il primo tratto, almeno, è assai strapiombante, hoi hoi povere braccia! La salita inizia con una rete fatta con cavi in acciaio incrociati detta filet, tipo quella delle vecchie navi per salire sulle vele.
Una volta salita ci troviamo sulla roccia e quì qualche problema c'è, infatti è costantemente strapiombante, qui lavoriamo di braccia! Poi, dobbiamo affrontare un lungo traverso ancora strapiombante ma meno impegnativo, aggiriamo uno spigolo e poi finalmente proseguiamo su una parete in verticale più appoggiata.
Abbiamo terminato la prima sezione, camminiamo su un'ampia cengia, ora che procediamo con calma notiamo moltissimi fossili marini e conferma che questo anticamente era fondale marino; notiamo anche due antiche vasche scavate nella roccia, chi sa da chi e perchè?
Continuiamo su facile tracciato e arriviamo ad un bivio dal quale, volendo, è possibile uscire (via di fuga verso la strada panoramica).
Noi proseguiamo lungo la cengia superando due facili passaggi parzialmente protetti o gradinati. In circa 10 minuti si arriva ad un cartello indicatore dove prendiamo a sinistra per scendere lungo una scala metallica alta 10 metri che conduce ad una cengia sottostante, da quì iniziamo ad avere una bella vista sul lago di Temo. Il lago di Monteleone è un bacino artificiale di medie dimensioni e forma irregolare ottenuto dallo sbarramento del fiume Temo, con lunghezza di circa 7 Km e larghezza di poco più di 3 Km nella parte centrale.
Prendiamo a sinistra seguendo le indicazioni sino a che non dobbiamo scendere su una parete che ci conduce ad un adrenalinico ponte tibetano lungo 20 metri. Oltre il ponte la cengia diventa più stretta  ma comunque ben percorribile. Giungiamo, sempre su cengia, al libro di vetta, o meglio di via in quanto non è posto al termine della ferrata, due righe  e riprendiamo il cammino. Percorsa la cengia dobbiamo risalire per pochi metri su facile risalita ma con terreno molto smosso e pe questo i caschetti sono molto utili!
Siamo ora su una cengia molto ampia e suggestiva, priva di difficoltà, caratterizzata da particolari erosioni della roccia con molte concrezioni e resti fossili.
Infine raggiungiamo l'ultima verticale di una trentina di metri su roccia appoggiata e giungiamo sul comodo sentiero di rientro, lo stesso che abbiamo percorso all'andata.
La ferrata ha uno sviluppo tra andata e ritorno di 600mt, il dislivello di 60 mt pos. la difficoltà la danno per difficile ma a parte la prima parte assai strapiombante non vi sono grosse difficoltà, una difficoltà potrebbe essere il ponte tibetano ma comunque è molto stabile.
Tempo di percorrenza 2 h 
Tutta la falesia è esposta a nord, pertanto in primavera-estate prende sole esclusivamente nelle prime ore del mattino mentre in inverno è sempre in ombra.
Torniamo indietro verso i nostri alloggi per una doccia e un pò di riposo, andiamo a cena e poi, finalmente, il giusto riposo, siamo veramente stanchi!
Ed eccoci al secondo giorno, facciamo una ricca e buonissima colazione e ci riforniamo di panini per il pranzo, naturalmente anche del buon Canonau non può mancare.
Poi via si parte alla volta di Capo Caccia.
Capo Caccia (Cap de la Caça in catalano) è il nome del massiccio promontorio calcareo che sporge dalla costa nord-occidentale della Sardegna. Così come le scogliere che lo delimitano a nord e a sud esso è caratterizzato da falesie alte fino a 203 metri a picco sul mare. Lungo le pareti che guardano a ovest, in quella porzione di costa che si eleva tra il belvedere della Foradada e le Grotte di Nettuno, è proprio lungo le pareti ovest di questo smisurato promontorio che si snoda la Via Ferrata del Cabirol, un percorso attrezzato che permette di inoltrarsi in un ambiente incontaminato.
Imbocchiamo la SS55bis e  seguiamo le indicazioni turistiche per " Capo Caccia". Una volta giunti sul promontorio, al km 10,5  imbocchiamo sulla destra una variante panoramica che seguiamo per circa 200 mt. fino al parcheggio del belvedere sull'isola Foradada.
Dal parcheggio ( avvicinamento e sviluppo ferrata) ci dirigiamo verso sud ( a sinistra guardando l'isola di Foradada), imbocchiamo una traccia di sentiero che si stacca dalla strada asfaltata. Sul sentiero non vi sono segni ma in caso di dubbi è sufficiente seguire il limite roccioso delle falesie a picco sul mare prendendo come rifermento e destinazione una piccola grotta visibile già dal basso. Superata la grotta dei Vasi Rotti si procede ancora per una quindicina di metri fino ad individuare un " omino" di pietre sul bordo della falesia. Superiamo un varco a destra nella vegetazione che permette di accedere ad un terrazzino dove una bacheca che indica l'attacco della via ferrata. Partiamo in discesa assicurandoci al cavo per il primo facile passaggio; da quì abbiamo accesso  alla cengia bassa.  Camminiamo in un passaggio tra massi franati chi sa quando e proseguiamo senza cavi dato la facilità del percorso e quindi non presentando difficoltà tecniche, la facilità di progressione ci permette anche di ammirare dei begli scorci sul mare e sulle pareti che ci sovrastano.
Ci troviamo in corrispondenza di un grosso tetto roccioso e la cengia si restringe fino a poche decine di centimetri su pendio sabbioso ed un cavo protegge questa sezione, oltre la quale si giunge in pochi minuti al termine del percorso basso, dove ha inizio la verticale gradinata. La verticale da salire sviluppa circa 25 metri con un lieve strapiombo che richiede un minimo di praticità nell'uso della doppia longe. Davanti a noi, distante qualche centinaio di metri, si nota la stupenda Scala del Cabirol e la mole imponente del promontorio con il faro di Capo Caccia (186 metri, il faro più alto d'Italia, costruito nel 1864).
Al termine della verticale riprendono i cavi del traverso, verso sinistra, con una alternanza di piccole verticali gradinate e nuovi traversi esposti.
Arriviamo così ad un altro cavo su pendio, che aiuta a risalire 30 metri di pietraia (attenti alla caduta pietre) fino ad arrivare al livello della cengia superiore.
La cengia alta  è decisamente più tecnica ed impegnativa di quella bassa, tuttavia i numerosi traversi esposti e le discese gradinate sono sempre ben protetti.
Camminiamo su roccia in un primo curioso interstrato inclinato  e arriviamo un terrazzino dove, all’interno di un box inox, si trova il libro-via e dove lasciamo un nostro pensiero. Proseguendo sulla cengia protetta  troviamo due piccole verticali gradinate da affrontare in discesa e quindi il passaggio chiave del lungo traverso con passaggi lievemente strapiombanti.
Al suo termine  procediamo ancora su un'esile cengia e attraversiamo un piccolo bosco sospeso che ci conduce all’ultima verticale da scendere.
Ormai sentiamo di essere vicini all'uscita, una sequenza di passaggi che alternano larghe cenge a passaggi più esposti ci porta alla bacheca ed all’ultima piccola e facile verticale di uscita.
Una volta usciti ci ritroviamo tutti esultati e felici per aver fatto questa bellissima ferrata del Cabirol,  proprio  degna di questo quadrupede noto per essere un eccezionale arrampicatore.
Sospesi ad un’altezza variabile tra i 150 ed i 208 metri sul livello del mare, spesso costretti ad avanzare in punta di piedi tanto è stretta la via, non c’è dubbio che ci siamo sentiti in tutto e per tutto simili a dei caprioli.
Ma il punto non è questo. Il punto è che quanti l’hanno percorsa ci dicono piuttosto di essersi sentiti più simili a creature alate. La bellezza incontaminata, in cui si penetra attraverso la Via, gli scenari vertiginosi, il senso d’infinita apertura dello sguardo, danno poi motivo di credere che le creature alate in cui è possibile immedesimarsi lassù siano non comuni uccelli, bensì veri angeli.
Intendiamoci bene, la Via Ferrata del Cabirol non è per tutti: è un percorso classificato di media difficoltà, per affrontarlo bisogna avere attrezzature adeguate e soprattutto una certa esperienza. Angeli non si nasce, si diventa!
Qualche riflessione sulla ferrata:
Senza dubbio è la più frequentata tra i percorsi attrezzati che sono in Sardegna, nota a tutti gli appassionati di questa attività, si tratta di un percorso di pura soddisfazione e totale immersione in un ambiente costiero estremamente selvaggio.
emozionanti verticali alte fino a 170 mt. sul mare e traversi su esili cenge possono essere goduti fino in fondo grazie all'ottimo attrezzamento dei passaggi e alla loro continua manutenzione. Percorso piacevole e interessante anche per la possibilità di osservare preziosi e rari endemismi. Da non perdere!!!
Anche questa è fatta, e fatta bene ora ben carichi di adrenalina,  riprendiamo la via di ritorno verso il parcheggio .
Seguiamo il bordo della falesia camminando tra arbusti di lentisco verso nord, fino ad arrivare in vista del parcheggio e delle auto che si raggiungiamo in circa 15 minuti.
Ci liberiamo di imbraghi, dissipatori e caschetti e li sostituiamo con i panini, il vino e il necessario per il caffè, troviamo un bel posto con una magnifica vista sull'isola Foradada, sul mare circostante e il promontorio dove si sviluppa la ferrata e ci gustiamo il nostro pasto tra amenità varie, un bicchiere di buon vino e il caffè di Bruno.
Ci siamo riposati abbastanza e ci chiediamo dove possiamo andare per terminare la giornata e la scelta cade sulle spiagge di Stintino.
 Stintino è' un piccolo borgo marinaro sito su un promontorio (Capo Falcone) all'estremità nord-occidentale della costa della Sardegna, in provincia di Sassari, da cui dista 50 km. Possiede una delle coste più affascinanti dell'intera regione, con spiagge dalla sabbia bianchissima, acque cristalline e uno dei mari più belli dell'intero Mediterraneo. Con i suoi panorami mozzafiato, una natura selvaggia e incontaminata, lontano dalle città più grandi, Stintino è un vero paradiso per gli amanti del mare, a contatto con un ambiente ancora puro ed inalterato.
Una delle più belle spiagge d'Italia, i profumi della macchia mediterranea, rocce granitiche, salsedine e sole regnano sovrani sulle spiagge, prima tra tutte quella della Pelosa, il simbolo di Stintino. Ancor prima di arrivarci, si possono ammirare dall'alto le trasparenze del mare e le sue incredibili colorazioni che vanno dall'azzurro al celeste fino al turchese. La spiaggia della Pelosa, a nord di Stintino, è certamente tra le più belle della Sardegna e dell'Italia. Inoltre, è tra le più note mete turistiche internazionali, capace di coniugare il fascino del borgo di pescatori con strutture ricettive di altissimo livello. La distesa di sabbia, bianchissima, con l'acqua cristallina e bassa per un centinaio di metri, ricorda una spiaggia tropicale. E' protetta dal mare aperto dai faraglioni di Capo Falcone, dall'isola Piana e dall'Asinara: ciò spiega anche perché l'acqua sia sempre calma nonostante qui soffi il Maestrale, il vento freddo del nord-ovest. Di fronte alla spiaggia, la torre aragonese della Pelosa (1578), Dà il nome alla spiaggia ed è visitabile a piedi (sempre dalla spiaggia). Poco distante, l'isola Piana, così chiamata perché assolutamente piatta. Veniva usata un tempo come pascolo per il bestiame: vista la distanza minima dalla costa, gli animali venivano portati a nuoto.
L'Asinara bella e disabitata - L'Asinara, Parco Nazionale e Oasi naturalistica è quasi immune dalla presenza umana. E' possibile visitarla anche se molte spiagge sono interdette al pubblico, ma si può visitare l'isola contattando il Parco nazionale.
Lasciata l'auto ci dirigiamo verso la spiaggia e iniziamo a camminare tra gli scogli e piccole spiaggia di sabbia bianchissima, Luigi è temerario e fa un tuffo nel mare invitante, ma dalla velocità che ha nell'uscirne si capisce che è alquanto fredda.
Noi continuiamo la nostra passeggiata e siamo al punto più a nord della penisola che facciamo torniamo indietro? Neanche a parlarne iniziamo a salire su per la scogliera e in breve siamo in vetta a Punta Negra, da quì abbiamo veramente il paradiso sotto di noi, le splendide acque cristalline di mille sfumature diverse, le isole dell'Asinara e l'isola Piana, tutto il golfo di Stintino si è davvero un paradiso! (foto)
Rimaniamo giusto un pò per goderci tanta bellezza ma poi la stanchezza anche di questa giornata ci consiglia di tornare verso casa e riposarci un pò, ancora ce ne è da fare.
E siamo al terzo giorno:
Sveglia e colazione e subito pronti per partire alla volta di Dorgali nel Nuorese, il nostro raggio d'azione si sposta nel Supramonte.
Il Supramonte è un complesso montuoso di altopiani carbonatici che occupano la parte centro-orientale della Sardegna. Si estende su una superficie di circa 35.000 ha (350 km²), occupando gran parte del territorio di Oliena, Orgosolo, Urzulei, Baunei e Dorgali, località situate lungo la base delle imponenti pareti calcaree che delimitano i confini degli altopiani. Tali frontiere naturali seguono verso settentrione l'alto corso del fiume Cedrino e, verso meridione, il corso del rio Olai. (Da Wikipedia)
Giungiamo a Dorgali dopo un viaggio di circa due ore dopo aver individuato il nostro albergo e preso possesso delle camere cerchiamo il modo di passare il resto della giornata, la scelta cade sull'escursione da Cala Fuili a Cala Luna, una delle spiagge più belle del mediterraneo.
Ci dirigiamo verso  Cala Gonone e da quì in direzione sud  sino a Cala Fuili  lasciamo e auto, anche perchè termina la strada, imbocchiamo il sentiero per Cala Luna.
Subito sotto di noi a strapiombo abbiamo Cala Fuili col mare trasparentissimo, verso nord osserviamo la costa ancora bassa, sullo sfondo l'abitato di Gonone e il roccione di Biddiriscottai; voltandoci verso sud vediamo l'inizio della costa alta che termina nella zona di Baunei con un alternarsi di numerose codule e piccole spiaggette
Percorriamo la scalinata che ci porta alla base di Cala Fuili, poi ci dirigiamo frontalmente verso l'altro costone per iniziare la salita attraverso gradini più o meno naturali che ci portano ad un livello più alto rispetto al punto di partenza.
Durante l'escursione godiamo della meraviglia del paesaggio ancora intatto: il mare che assume delle sfumature di colore dal blu notte al verde smeraldo sino a sfumature ancora più chiare, i ginepri contorti e modellati dal vento, la macchia mediterranea tutta con i suoi profumi, il rosmarino, il corbezzolo, il lentischio - che meraviglia - una festa di colori e profumi. 
Dopo circa un'ora incontriamo un piccolo anfratto naturale, la grotta di Oddoana, ( Sarà Giusto il nome? ) siamo già a metà percorso. 
Lungo il percorso ci inoltriamo dentro il bosco lungo una discesa per poi riuscirne dopo la salita successiva ed ogni volta lo spettacolo che si osserva dall'alto sembra quasi un miraggio per quanto è meravigliosamente bello. A poco più di 10 minuti dall'arrivo sporgendoci sempre con attenzione verso il costone vediamo dall'alto la spiaggia di Cala Luna, 500 metri di spiaggia bianca chiusa a sud da uno stagno originato dallo sbocco del rio Codula de Ilune (valle della luna) ricca di oleandri.
 Dopo aver apprezzato dall'alto la codula, scendiamo verso la spiaggia il passo si fa più svelto, non vediamo l'ora di rilassarci su questa bellissima spiaggia, peccato che ancora sia presto per fare un bel tuffo nell'acqua cristallina.

 
La spiaggia di Cala Luna

Il mare è tanto trasparente che anche a grande profondità si vede il fondo, per dei montanari come noi ammettere che questo mare è il Mare significa che è eccezionale davvero!
Rimaniamo un bel pò ad ammirare questo spettacolo della natura ma poi dobbiamo riprendere necessariamente la strada del ritorno che corrisponde a quella dell'andata.
Torniamo a Dorgali dove ci attende una bella doccia e una buonissima cena e anche un bel letto per riprendere un pò di forze.
Al mattino dopo siamo belli riposati e ci attende un'escursione fantastica in uno dei posti più affascinanti della
Sardegna: le Gole del Gorropu. 
Facciamo colazione, abbondante visto che ci attende uno sforzo fisico non indifferente, comunque l'avremmo fatta lo stesso, abbondante intendo!
E poi ci portiamo al luogo d'appuntamento con le nostre guide Corrado Conca coadiuvato in questa occasione da Antonello. L'appuntamento è davanti alla galleria per Cala Gonone  sulla SS125 Orientale Sarda.
Puntuali arrivano e veniamo accompagnati in località Ponte S'Abba Arva dove lasciamo la nostra auto e saliamo su un pulmino che ci condurrà all'inizio della nostra escursione.
Come arrivare all'inizio della gola mi è un pò difficile ma sò che abbiamo percorso la SS 125 sino a Genna Silana (Passo) riconoscibile da varie strutture tra cui un Hotel, hotel Silana  a sinistra e una casa cantoniera a destra.
Si continua sempre per SS 125 e dopo 6 gallerie artificiali, le ho contate, arriviamo ad un bivio, sulla sinistra Centro escursioni Gorropu, se ho visto giusto dovrebbe essere il Km 177 al valico di Genna Cruxi. Prendiamo la strada a destra stretta e tortuosa si inerpica fin sopra Planu Campu Oddeu.
Dopo circa due Km proseguiamo dritti tralasciando una deviazione a sinistra, la strada diventa sterrata. La strada inizia a scendere in fitti boschi di querce regno di mucche, asini e maiali che vivono allo stato brado.
Entriamo sulla riva destra della Codula de sa Mela e la superiamo attraversando un ponte di cemento. Raggiungiamo degli ovili, ovili di Campos Bargios, incontriamo un altro bivio dove noi proseguiamo dritti per almeno altri 2,5 km sino ad uno slargo nella località Sedda Ar baccas, ( 12,5km dalla strada statale).
Sono stato bravo nella spiegazione? Si! Sono troppo bravo!
Stò scherzando non potrei mai ricordarmi così tanti particolari e nomi di questi luoghi e che nomi poi! Mi sono aiutato con la guida ben scritta dal nostro accompagnatore Corrado, si tratta del libro " Il top del trekking in Sardegna " edizioni Segnavia, lo stesso sarà per la descrizione del percorso della Gola del Gorropu. Del resto non è che c'avevo molto tempo per prendere appunti, come diceva Bruno era come essere ad un luna park, attrazioni una dietro l'altra!
( dalla Guida Il Top del Trekking in Sardegna ed. Segnavia)
Le alte pareti delle rinomate Gole di Gorropu Caratterizzano un tratto del lungo corso del rio Flumineddu. Spesso erroneamente definito il canyon più profondo d'Europa, questa gola presenta in alcuni punti pareti alte fino a 400mt, ed un dislivello complessivo, tra il greto e la vetta di Punta Cucutos di 488 metri.   L'itinerario più breve e frequentato per visitare la gola prevede l'ingresso dalla vallata di Oddoene, noi effettueremo la traversata da monte a valle, più suggestiva ma anche più complessa, sia dal punto di vista tecnico ma anche logistico.

Dallo slargo di Sedda Ar Baccas ci si sposta verso ovest per prendere la traccia della strada sterrata che si inoltra nel bosco, questo itinerario è indicato come CAI n.502, ma in loco ci sono poche segnalazioni di tipo classico, dopo poche centinaia di metri incontriamo una prima meraviglia, una pianta di
tasso centenario(taxus bacata), un vero monumento naturale con un fusto imponente, assolutamente straordinario per questa specie. Riprendiamo il cammino e dopo breve, superato un fontanile, la nostra guida ci richiama l'attenzione verso dei grossi massi, a noi sembravano solo grosse pietre ma invece ci viene spiegato che si tratta di quel che resta di una " Tomba dei Giganti" così chiamate dalla fantasia popolare per via delle loro dimensioni ciclopiche, sono  strutture megalitiche di forma allungata e absidata con all’interno un lungo (fino a 30 m) vano rettangolare pavimentato destinato a sepoltura collettiva di numerosi defunti, il frontale si presenta a forma di esedra realizzata in modi differenti: con lastre a coltello, purtroppo di tutta questa struttura rimane ben poco!..
Dopo tante spiegazioni, molto esaurienti e fatte con convinzione di causa, capiamo solo  che alla fine comunque molte sono le cose che si ignorano di questa civiltà e del loro culto.
Superata la Tomba dei Giganti la strada continua rettilinea ancora un centinaio di metri, fino a diventare traccia di sentiero e piegando a sinistra si superano alcune bancate calcaree.
Finalmente il sentiero si fa più panoramico, arriviamo alle quote più alte di Su Schinale '  e s'Arraiga, ovvero la cresta spartiacque tra le grandi depressioni del Rio Flumineddu e della Codula Orbisi.
Percorrere la cresta di questo sperone roccioso permette di osservare, da un punto di vista privilegiato, alcuni tra i fenomeni carsici più importanti dell'intero Supramonte. Sulla destra, dove confluisce la Codula Orbisi, è infatti possibile notare sulla parete la risorgente della grotta Donini, detta Cunn'è S'Ebba, che in stagione invernale è caratterizzata da una suggestiva cascata in parete. Più avanti, proseguendo su una traccia di sentiero ben evidente, si giunge alla confluenza tra queste due importanti gole, detta appunto Sa Giuntura. Seguendo il greto del rio Flumineddu per circa 500 mt. si arriva presto ad affacciarsi ad un primo grande lago, Sa Pischina 'è Orroppu, che sbarra la strada, da questo punto in avanti si dovranno superare una serie di passaggi che richiedono un minimo di tecnica e sicurezza nei movimenti su roccia.
Questo primo lago si può superare utilizzando un cavo d'acciaio posto sulla riva sinistra seguito da altri corrimano che riportano verso il greto del torrente in secca. Dopo circa 150 mt. ci si trova davanti ad un altro lago, posto qualche metro più in basso, qui è necessario spostarsi sulla sinistra di una ventina di metri per aggirare e raggiungere una cornice rocciosa che permette di attraversare più in basso la linea di scorrimento dell'acqua. Un terrazzo permette infine di ridiscendere fin sul greto dove però si potrà proseguire pochi metri perché presto ci troviamo di fronte al bellissimo laghetto sotterraneo, un luogo estremamente suggestivo. Per passare al di là vi sono dei cavi d'acciaio molto deteriorati e per questo le nostre guide approntano una linea con una corda ben più affidabile, visitando la pagina FB di Corrado Conca ho visto che recentemente questi cavi sfilacciati sono stati interamente sostituiti. Questo passaggio è abbastanza impegnativo sia per la distanza degli appoggi sia per la scivolosità delle rocce.
Giungiamo su un terrazzino e scendiamo dalla parte opposta con l'aiuto di corde fisse che ci riconducono sin sul greto del torrente in una zona sovrastata da pareti imponenti: ci si trova ora nel pieno delle Gole del Gorropu.
Il cammino da ora in avanti si svolge in passaggi su roccia, brevi arrampicate, frequenti discese tra alti massi, talvolta impegnative che richiedono molta cautela e buona affidabilità.
Le pareti diventano sempre più alte e vertiginose mentre il canyon disegna alcune anse strettissime che in poco più di un'ora di stupore arriviamo allo sbocco nella vallata di Oddoène.
Siamo al termine delle Gole e ci togliamo gli imbraghi e l'attrezzatura di sicurezza, dobbiamo pagare anche un biglietto (5€) per l'ingresso al sito.....ma noi usciamo!!
Dopo un pò di rilassamento ancora con gli splendidi scenari negli occhi, felici per la bella avventura, prendiamo il sentiero di ritorno posto sulla sinistra del fiume, indicato con il numero 485 segnavia bianco rosso del CAI, peccato che questi segni ci siano solo all'inizio del percorso.
Il rientro è lungo e abbastanza monotono, ma senza particolari problemi di orientamento, ( gli unici bivi conducono verso l'alveo del fiume o verso le pareti in ripida salita) e caratterizzato da un buon numero di sorgenti. In circa un'ora e quarantacinque di cammino sulla mulattiera raggiungiamo il ponte di S'Abba Arva dove abbiamo il nostro furgone che ci aspetta.
L'escursione è classificata EEA, ha un dislivello totale di - 580 mt. prevede 5/6 ore di marcia su uno sviluppo complessivo di 10km, la segnaletica è scarsa, solo qualche segnavia all'inizio del cammino.
A mio parere è bene effettuarla con una guida che conosca bene il posto, inoltre le distanze dal punto di partenza e quello d'arrivo sono notevoli e con un'auto sola non ci si può fare.
Una birra fresca e ci commiatiamo dalle nostre brave guide e facciamo ritorno verso l'albergo a Dorgali dove una meritata doccia, una bella cena e un bel sonno per ritemprarci, ci attendono.
Il giorno seguente la decisione dell'escursione cade su Cala Goloritze, uno dei tratti del Golfo di Orosei dove mare e montagna si incontrano in perfetta armonia.
Sempre con la SS 125 Orientale Sarda ci dirigiamo verso Baunei, una volta giuntivi attraversiamo il paese e in prossimità della chiesa parrocchiale imbocchiamo una strada sulla destra seguendo le indicazioni per “Su Sterru” e “Goloritzé”.  La strada s’inerpica sull’altopiano e percorre l’antica “Bia Maore” per raggiungere il suggestivo altipiano del Golgo. A circa 8,5 km da Baunei lasciamo la strada asfaltata, svoltiamo a destra seguendo il cartello che indica “Su Porteddu” e percorriamo una sterrata per 1 km circa sino ad arrivare al parcheggio custodito dai ragazzi del Punto di Ristoro – Centro Escursioni “Su Porteddu”.
Lasciamo il nostro furgone nell'ampio parcheggio, a pagamento (5€) e seguendo un evidente segnavia in pietra iniziamo il cammino verso la cala.
Stranamente per scendere al mare prima dobbiamo salire, infatti il primo tratto è tutto in salita e ci porta dai 410mt. di Porteddu ai 470mt. di una piccola insellatura di Arcu Annidai, che è per l'appunto il punto più alto dell'escursione. Da quassù la vista spazia dall’ampia vallata di Golgo ad ovest sino alle cime di “Monticlu” ad est passando per le pareti di “Serra e Lattone” a nord.
Iniziamo la discesa tra bassi arbusti di lentisco e fillirea su sentiero sempre ben evidente ma privo di segnaletica, giungiamo poi in vista del largo solco che scende direttamente verso il mare (Bacu Goloritzè).
camminiamo tra muretti a secco e raggiungiamo il punto dove il sentiero inizia a scendere; scendendo, a ridosso di una parete notiamo dei vecchi "Cuili " (ovili) ricavati in grotte.
Continuiamo e attraversiamo un punto caratterizzato da splendidi e monumentali esemplari di leccio.
Il sentiero scende ben evidente entrando ora in macchia mediterranea dove i profumi delle piante ci inebriano: elicrisi, cisti, ginepri e gli inconfondibili corbezzoli ancora senza frutti.
Il sentiero scende ripidamente sempre tra l’imperterrito ciottolato, che incita ad una certa attenzione nei passi.
Ci colpisce il paesaggio aspro, quasi lunare creato da vaste distese e valloni di ciottolato interminabile, una pietra sull’altra, dove solo i ginepri riescono a crescere contrastando il loro bianco.
Il mare si avvicina sempre più e si incontrano mano a mano dei suggestivi rifugi di pastori (cuili), usati anche per accamparsi la notte, nonché rami e tronchi di alberi secolari in mezzo alla strada che rendono suggestiva la camminata.
Attraversiamo un caratteristico arco di roccia naturale, e proseguendo per una ventina di minuti si intravede finalmente la punta della Guglia Goloritze, un torrione di roccia calcareo alto 120 metri: meta ambita per ogni climber che si rispetti,
che vogliono ripercorrere i passi dei primi salitori : il grande Maurizio Zanolla "Manolo" e Alessandro Gogna nel 1981 con la via "Sinfonia dei Mulini a Vento".
Il panorama intorno è maestoso, superbo, aspro e selvaggio, incredibilmente solitario e silenzioso, con le possenti pareti calcaree del canalone che sovrastano il luogo, piene di grotte, cavità e alberi secolari.
Continuiamo a scendere mentre la Guglia diventa sempre più alta, fino a costeggiarne la base, dove poco più avanti si trova un’area di sosta con tavolini in legno. Ancora pochi metri e la stupenda visione della cala lascia senza fiato!
Scendiamo la ripida scala in legno che termina su un pavimento liscio e roccioso, ed ecco di fronte il mare, con la piccola spiaggia costituita da ghiaia minuscola e levigata.
Cala Goloritzé è come un dipinto nato da una fantasia da sogno, oppure come un sogno dal quale non ci si vorrebbe svegliare mai. E’ questo è il primo pensiero che salta in mente alla sua vista.
La visione è straordinaria: sulla sinistra un gruppo di massi delimita il confine della cala, a ridosso delle altissime pareti verticali a nord dove, subito dietro, si trova un’altra spettacolare spiaggia che è quella di Sisine; di fronte il mare cristallino colorato di tutte le varietà di azzurro possibili ed immaginabili; sulla destra invece si ammira il singolare arco di roccia naturale sul mare, che rende tanto famosa Cala Goloritzè; sul retro infine impressiona notevolmente la vista dell'Aguglia che sovrasta la cala, e che appare, da una certa angolazione della spiaggia, quasi la bocca di un immenso squalo.
Qui sugli scogli siamo tutti assieme bagnanti, escursionisti e alpinisti, tra zaini, costumi da bagno, scarponi e ciabatte: tutti assieme a godere di tanta bellezza.
E dove fare il nostro pranzo se non qui dove potremmo avere migliore vista? Anche se mangiamo solo un panino saziamo ugualmente lo spirito, quasi la fame fisica passa in second'ordine.
Prima o poi però viene l'ora del rientro, ci attendono un paio d'ore di salita.
I tanti tratti ombreggiati e la piacevole brezza ci aiutano a superare i tornanti del sentiero.
Ma ormai anche la salita è giunta alla conclusione e non ci resta che ridiscendere a Su Porteddu dove ci rinfreschiamo con una bella e fresca birra.
Rientro a Dorgali.
Siamo così, infine giunti al nostro ultimo giorno di questa splendida vacanza, dopo esserci accomiatati dai proprietari dell'albergo, partiamo alla volta di Porto san Paolo ma ancora no siamo domi e per ultimo ci siamo tenuti l'escursione dell'isola di Tavolara.
Come detto ci portiamo a Porto San Paolo che raggiungiamo seguendo la SS 125 e si trova ad appena 15 Km da Olbia.
Andiamo al porticciolo dove abbiamo appuntamento con le nostre guide che ormai possiamo chiamarli anche amici: Corrado e Antonello, facciamo i biglietti per il traghetto e subito ci imbarchiamo per l'isola.
In poche decine di minuti siamo al molo, attracchiamo e siamo già pronti per la nostra escursione, assieme a noi si uniscono altre cinque persone.
per descrivere anche questa escursione mi aiuterò con la bella guida " Il top del trekking in Sardegna di Corrado Conca, ediz. Segnavia"
Il percorso di salita alla vetta dell'isola di Tavolara è uno dei percorsi più sorprendenti che possa capitare di percorrere in Sardegna. Le caratteristiche che lo rendono unico sono diverse, a cominciare dal fatto che si ha la sensazione di effettuare una vera salita alpinistica in mezzo al mare. L'isola ha infatti un'orografia talmente verticale e affilata che i panorami sono sempre emozionanti e la vetta, se non avvolta dal suo cappello di nuvole, per niente raro ( noi non lo abbiamo trovato, per fortuna), offre una vista che ripaga ampiamente delle fatiche della lunga salita. La tratta finale della salita protetta da corde fisse, suggerisce di affrontare questo percorso con una buona esperienza di progressioni di questo genere.
Dal molo di sbarco prendiamo a destra, lungo la costa, superiamo alcuni edifici, bar e ristorante. Dopo un centinaio di metri raggiungiamo una strada asfaltata che imbocchiamo, quì va precisato che stiamo entrando in una proprietà privata e bisogna avere il permesso della famiglia Marzano, se non si fosse riusciti a contattarli bisogna farlo appena giunti sull'isola.
La strada supera un cancello e dopo qualche curva, a 350 metri dal mare, in prossimità di uno slargo si lascia e si entra su una vaga traccia di sentiero ( segno rosso molto sbiadito) che si stacca sulla destra.
Ci  inerpichiamo subito in ripida salita e la traccia diventa sempre più stretta e camminiamo tra radi alberelli e la fitta macchia mediterranea, che devo dire ci martorizza le braccia graffiandoci di continuo.
Raggiungiamo il primo fronte roccioso dove con l'aiuto di corde fisse a superare dei passaggi un pò complicati.
Arriviamo poi al culmine del primo grande terrazzamento  e continuiamo a seguire il sentiero verso nord ovest e poi attraversiamo perpendicolarmente una prateria e continuiamo alternando falsipiani con qualche salita. Affrontiamo poi altri facili passaggi su roccia, qui è presente anche una corda fissa.
Raggiungiamo un terrazzo erboso, qui partono due sentieri che portano alla vetta, entrambe esposte e protette da corde o cavi d'acciaio, noi prenderemo quello che sale più a nord e scenderemo dall'altro.
Dal terrazzo attraversiamo in lieve salita e ci dirigiamo verso un ampio anfiteatro, superiamo una pietraia, fino a raggiungere un caratteristico albero proteso sul vuoto, da qui iniziamo a salire su placche rocciose appoggiate fino ad uno sperone che ci appare insuperabile e dove troviamo le prime tratte protette da cavo d'acciaio. Proseguiamo su passaggi su roccia non particolarmente impegnativi ma dove e necessario proteggersi con imbragatura e dissipatore, utile anche il caschetto per il pericolo di caduta di pietre causate accidentalmente da altri escursionisti.
Dopo aver percorso il tratto protetto continuiamo a camminare ma adesso a vista verso le creste, sempre verso i declivi rocciosi. Una volta in cresta attraversiamo verso sinistra per raggiungere Punta Cannone a 565 m slm.

Superate queste difficoltà la fatica è ampiamente ripagata dal panorama mozzafiato, di impareggiabile bellezza e fascino della Punta Cannone, al cui culmine vigila la Madonnina di Tavolara.
Da Punta Cannone possiamo ammirare in direzione nord, Capo Figari e tutta la Costa Smeralda, riuscendo a scorgere la Corsica e le Bocche di Bonifacio.  A ovest si staglia invece  la zona costiera di Olbia
, Porto Istana e Porto San Paolo. A Sud-Ovest notiamo invece Capo Coda Cavallo, l’isola di Molara e Molarotto.
È come essere sulle Dolomiti con la grande differenza che sotto c'è il mare e che mare! Il fondo attorno all'isola è perfettamente leggibile ed i colori sono stupendi.
Rimaniamo circa un'ora per pranzare ma anche per goderci ogni singolo minuto questo splendido spettacolo della natura.
ma anche oggi arriva il moneto di riprendere la via di ritorno.
Ridiscendiamo dalla vetta sino alla sella che divide Punta Cannone da Punta Lucca ( 546 mt) la punta secondaria dell'isola e anche questa ci dicono molto panoramica, vorremmo andare anche lì ma non c'è più tempo, per le 16:00 dobbiamo essere di ritorno perché il battello non ci aspetta e l'ultimo in questa stagione e appunto per quell'ora.
Alla sella bisogna individuare alcuni segnali ( freccia rossa e ometti di pietre) che indicano la via di discesa e dove troviamo la corda di protezione ancorata a dei chiodi da roccia. La via di discesa non può essere sbagliata almeno sino al termine dei circa cento metri di corde dove, quando queste terminano, è necessario seguire i segni rossi che attraversano verso destra per arrivare poi al terrazzo dove siamo già passati sulla via di salita.
Non ci resta che seguire il sentiero già percorso. Dalla vetta ci ha richiesto circa due ore e adesso ci troviamo seduti tutti assieme ai tavoli del bar davanti ad una buona e fresca birra.
Siamo felici per come abbiamo concluso questa splendida vacanza ma anche un po' tristi non perché da domani torneremo alle nostre attività ma perchè si avvicina il momento di lasciare questa splendida isola, e anche la gente che la abita, persone accoglienti e disponibili che ci hanno fatto sentire a nostro agio.
Arrivati a Porto San Paolo ci congediamo dai nostri amici/guide e a malincuore ci dirigiamo verso Olbia dove ci imbarcheremo verso Livorno.
 Bè la settima è passata, passata splendidamente, vorremmo tanto avere avuto qualche giorno in più a nostra disposizione, ma il dovere ci chiama e poi da buoni toscani campanilisti sotto sotto a casa ci torniamo anche volentieri. Si perché abbiamo visitato posti stupendi ma la casa è la casa e la terra natia e la terra natia, quindi anche noi ci accorgiamo che i legami alle nostre origini sono forti.
Inoltre con queste escursioni siamo stati a stretto contatto per molti giorni e abbiamo messo a dura prova la nostra amicizia e devo dire che siamo veramente un gruppo molto affiatato rispettosi l'uno dell'altro, magari qualcuno un pò indisciplinato ma va bene così.
Adesso ho finito di tediarvi con tanti discorsi ma sentivo il bisogno di condividere con tutti quest'esperienza che raccomando fortemente a chi potrà e vorrà ripeterla.
Fine.

Foto escursione:
16-05-2016 Torre Argentina e Ferrata della Regina
17-05-2016 Ferrata do Gabirol e Stintino Punta Negra
18-05-2016 Cala Luna
19-05-2016 Gole del Gorroppu
20-05-2016 Cala Golortirze
21-05-2016 Isola di Tavolara

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