In un passato recente le Alpi Apuane
sono state interessate da diversi insediamenti minerari. L’attività
estrattiva si è sviluppata in diversi siti, ma la zona più importante è
stata senz’altro quella del Bottino.
Le miniere del Bottino, attive dal XVI secolo fino al 1960, consentivano di
estrarre discrete quantità di Galena (Solfuro di Piombo) da cui, mediante
fusione ed altri trattamenti, si ricavava l’Argento.
A distanza di poche decine di anni dalla chiusura, la vegetazione ha
riconquistato in larga parte gli edifici e i manufatti: sembra incredibile
che qui ci fosse uno dei più grandi centri minerari d’Italia.
Salita
Punto di partenza di questo itinerario
è la località di Argentiera 97 m, che si raggiunge brevemente dal paese di
Seravezza percorrendo la strada di fondovalle.
Lasciata l’auto presso uno slargo, si attraversa il Fiume Vezza su ponte
pedonale (catena e divieto di accesso per proprietà privata). Si segue la
stradina fino ad uno spiazzo erboso: sulla destra c’è un vecchio carrello
minerario, dritto si entra in una proprietà privata (recinzione), mentre a
sinistra parte il piano inclinato del Bottino (110 m c.).
Dalla vegetazione sempre più invadente emergono i ruderi di antichi edifici
e della stazione inferiore di una teleferica.
Il piano inclinato, conservatosi molto bene negli anni, inizia gradualmente
a salire addentrandosi nel Canale del Bottino. A q. 125 c. attraversa una
prima volta il canale in due campate: oggi le travi di legno non ci sono
più, dunque occorre scendere verso destra, passare il fosso (acqua), e
risalire sul piano inclinato.
Il percorso prosegue con una ben conservata galleria (attenzione alle pietre
scivolose), uscendo dalla quale la massicciata passa il torrente di nuovo
(questa volta con tre campate; notevoli i pilastri di sostegno). Una buona
traccia consente di mantenersi a sinistra del fosso, ma non appena è
possibile è preferibile ritornare sul piano inclinato: così abbiamo fatto
noi, passando il canale in corrispondenza di un tratto a lastroni e scalando
la massicciata (prudenza per il muschio), ritrovandoci poco a monte dello
sbocco della seconda galleria.
Con stupefacente regolarità il piano continua a rimontare la valle. In un
punto la rada vegetazione consente di scorgere le appuntite vette del M.
Ornato (Pizzi del Bottino sulla Carta Tecnica Regionale) in controluce. Dove
i rovi ostacolano il cammino, si scende dalla massicciata sfruttando dei
sassi posti a mo’ di scalini, infissi nel muro: il suolo coperto da detriti
fini fa presagire la vicinanza delle miniere, ed infatti poco più avanti si
trovano i resti di grandi vasche ed edifici. Si tratta delle laverie del
Bottino (259 m).
Dalla folta vegetazione si alzano ancora due caseggiati tra i quali corre il
piano inclinato. Superando una macchia fitta di rovi e sterpi, ci si porta
ai resti di un ponte: da queste parti dovrebbe trovarsi l’ingresso, franato,
della galleria “ Due Canali “. Dei due impluvi occorre prendere quello di
destra, salendo. Questo se si vuole raggiungere la zona estrattiva vera e
propria. Accanto al fosso, sulla destra idrografica, correva una grande
lizza sostenuta da poderosi muraglioni. Nella prima parte il percorso è
stato danneggiato dall’erosione dell’acqua ed è praticamente scomparso. Più
in alto, invece, si ritrova il vecchio manufatto (alcune tracce di sentiero
si dirigono a mezza costa verso il Canale del Bottino in direzione di altri
ruderi e, con tutta probabilità, verso il Colle dello Sciorinello, zona di
altri ingressi minerari).
A quota 390 m circa si incontrano i resti di quella che doveva essere la
stazione di arrivo del piano inclinato: all’interno dell’edificio si
rinviene l’alloggiamento del motore che probabilmente muoveva i carrelli.
Da qui inizia una buona mulattiera che sempre in destra orografica
porta dapprima ad altri ruderi preceduti da una discarica di detriti fini
(q. 430 circa: vecchia fornace ed abitazione dei minatori; segno rosso),
quindi raggiunge finalmente alcuni ingressi minerari. Il primo che abbiamo
visto, deviando sulla sinistra dal sentiero principale, è caratterizzato da
una corrente di aria calda ed umida (calda rispetto alla temperatura esterna
di Marzo). La galleria è percorribile agevolmente per una decina di metri,
poi alcuni franamenti ne riducono drasticamente la sezione utile. Ritornando
sul sentiero (ogni tanto sugli alberi qualche segno rosso o blu), in
prossimità del fosso si rinvengono due grandi anfratti: il primo, molto
grande, è stato adattato in passato a bivacco; il secondo, molto più
piccolo, è completamente allagato con stillicidio (l’acqua è molto profonda,
probabilmente si tratta di una sorgente). Al di là del fosso si apre una
grandiosa voragine: è il principale ingresso delle miniere “ Senicioni “ 500
m c. A prima vista sembrerebbe una grotta naturale, ma un attento esame dei
luoghi rivela invece che è stato l’uomo l’artefice di tutto: resti di un
muretto a secco difendono l’ingresso della miniera dalle acque del fosso;
ben evidente appare l’intento di difendersi dalle acque che, colando dai
lastroni soprastanti fin dentro la miniera, disturbavano il lavoro degli
uomini: per ovviare a questo inconveniente è stata scalpellata nella viva
roccia una canaletta per drenare le acque; in corrispondenza del fosso,
infine, si può riconoscere un foro di forma grosso modo circolare che
probabilmente serviva per fissare meglio un ponticello di tavole sul fondo
roccioso del canale (secondo la Carta Tecnica Regionale, si trova qui il
sentiero per Gallena che dovrebbe proseguire poi verso il Colle dello
Sciorinello) . Gli ingressi delle miniere non sono finiti qui. Il sentiero
continua sempre in destra orografica fino a quando l’impluvio si biforca (q.
515 circa): una traccia si dirige nettamente verso sinistra, un’altra
attraversa i due fossetti portandosi in sinistra orografica (in un punto si
cammina su un lastrone scalpellato). Probabilmente il sentiero di sinistra
si dirige verso il Colle dello Sciorinello, zona in cui si dovrebbero
trovare altre miniere. Seguendo la traccia di destra, si attraversano i due
impluvi portandosi sulla sinistra orografica del costone che divide il
versante di Gallena con il versante del Bottino. Dapprima il sentiero va in
direzione Nord – Ovest e si presenta un bivio: probabilmente a destra è
possibile andare verso Gallena. A sinistra, invece, si rimane poco alti
sopra il fosso e si trova un altro ingresso minerario in corrispondenza di
uno slargo artificiale: è la galleria del Casello (q. 550 m circa).
L’ingresso è accanto al fosso, ed entrando in galleria (dalle pareti
asciutte) per qualche metro si trova a sinistra una voragine e più avanti
una biforcazione: un cunicolo meno ampio prosegue in avanti, mentre a
sinistra sale molto ripidamente una galleria di circa 20 metri di lunghezza,
di cui si vede lo sbocco. Dallo slargo artificiale si continua in salita con
qualche svolta, passando a poca distanza da un altro ingresso: è lo sbocco
della deviazione di 20 metri incontrata percorrendo la miniera dall’ingresso
precedente. Il sentiero, ora ripido, sale ben tracciato nel bosco (qualche
arbusto e qualche lastrone rendono il cammino più disagevole) e con un
ultima serie di svolte (resti di massicciata) raggiunge il crinale tra
Gallena ed il Bottino in corrispondenza della quota 644 m. Il bosco meno
rado permette di ammirare da qui le aguzze vette del M. Ornato (localmente
dette Pizzi dell’Argentiera e Pizzi del Bottino). Sul versante di Gallena si
estende un fitto castagneto ma il sottobosco è praticamente assente. Si nota
che un buon sentiero, proveniente da valle, va a rimontare il costone appena
raggiunto: per andare a Gallena è questa la via da seguire.
Per il M. Ornato si prende a salire lungo il costone boscoso, lasciando più
in alto un’evidente traccia che pare puntare verso il canalone che altro non
è che la prosecuzione dell’impluvio delle ultime miniere visitate. Con
qualche disagio per il terreno sconnesso, mantenendosi poco a sinistra dello
spartiacque, si guadagna nuovamente il crinale, ora meno erto, fino a
raggiungere un’ampia sella boschiva (grosse querce; rudere; piccolo pantano)
quotata 801 m sulla Carta Tecnica Regionale. Tra gli alberi si intravede la
costa.
In pochi minuti, dirigendosi ad Est, si guadagna una cima del M. Ornato (861
m), superando da ultimo un breve tratto coperto di spinoso ginestrone. La
C.T.R. nomina questa altura, assieme alla quota 807 subito ad Ovest della
sella q. 801, Pizzi dell’Argentiera. La carta I.G.M. la considera invece una
delle punte del M. Ornato.
Da qui si vedono benissimo le altre punte, coperte da cespugli sul lato
meridionale e precipiti a settentrione. E’ ben visibile anche il M. Rocca,
in prevalenza boscoso, mentre il M. Lieto appare in secondo piano, molto
lontano.
Il pizzo più alto merita senz’altro una visita. A questo scopo bisogna
perdere circa 30 metri tra ginestroni, arbusti e rado bosco fino ad una
prima sella (832 m). Quindi, alla meno peggio, si segue una traccia di
animali (fitti arbusti) che costeggia alla base la q. 856 fino ad una
seconda sella, caratteristica perché cosparsa di grossi massi coperti di
spesso muschio (833 m). Ancora una traccia si porta sul versante meridionale
della punta più alta del M. Ornato (oppure, secondo la C.T.R., la punta
massima dei Pizzi del Bottino) e per lastroni scistosi abbastanza solidi,
coperti saltuariamente di erba, si raggiunge finalmente la cima (870 m).
Anche il M. Ornato, come spesso accade sulle Apuane alle cime secondarie,
presenta un panorama molto interessante.
A meridione si estendono le ultime propaggini e la costa con il mare, verso
settentrione si apre a ventaglio la catena apuana, con lo sguardo che può
spaziare dal M. Sagro al M. Altissimo, dal M. dei Ronchi al M. Corchia,
dalla Pania della Croce (e Secca) fino alle Apuane Meridionali. Molto
interessante la vista sui sottostanti e profondi valloni che scendono verso
Ruosina e Pontestazzemese.
Discesa
La discesa dal M. Ornato si svolge
lungo il percorso di salita fino alla sella ad Est del monte (833 m), quindi
conviene calarsi nel bosco dove mancano gli arbusti fino ad incontrare una
grande mulattiera: è questo il sentiero n° 3 del CAI che da S. Anna va a
Farnocchia. Lo si segue in discesa fino ad un bivio: si prende a sinistra e
in pochi metri ecco i ruderi di Casa Zuffone (745 m).
Il luogo è frequentato dai turisti domenicali per il facile e rapido accesso
da S. Anna e per la tranquillità (alcune panche, alcuni tavoli e un posto
per grigliate), sotto l’ombra di grandi lecci. Una grande mulattiera
lastricata sale da Capezzano fin qui, proseguendo per S. Anna. In
corrispondenza del bivio con il sentiero per Farnocchia, piccola edicola e
quaderno in una custodia metallica per le firme dei visitatori.
Per andare a Gallena, la cosa più conveniente da fare è seguire in discesa
la mulattiera lastricata in direzione di Capezzano; l’alternativa, seguire
brevemente il sentiero per Farnocchia e prendere al bivio la traccia di
sinistra, è del tutto sconsigliabile perché ci si ritrova in una fittissima
zona arbustiva di ginestrone e stipa.
In moderata discesa la bella mulattiera conduce, dopo un paio di tornanti,
ad un bivio importante (685 m circa) poco sopra la sella che separa il M.
Anchiana dal M. Ornato: a sinistra, scendendo, si va verso Capezzano; a
destra, in salita, si intravedono i ruderi della Casa di M. Ornato (695 m)
presso la quale si passa.
La casa è ormai un rudere, ma un piccolo vano è ancora fruibile come
ricovero di fortuna ed una scritta sul muro invita a non danneggiare il
locale. Nei pressi, piccola sorgente e vecchia burraia invasa dall’acqua;
inoltre, caratteristico boschetto di bambù.
Dalla casa, per evitare zone invase dai rovi, si guadagna una decina di
metri in salita per poi traversare in quota portandosi sul costone Ovest del
M. Ornato. Tra gli alberi s’intravede Gallena: è quindi possibile scegliere
la direzione migliore da seguire. Come punto di riferimento, si può prendere
una cresta boscosa secondaria (è la cresta Nord – Ovest del M. Ornato): tale
cresta presenta in un punto una macchia di ginestrone che arriva fino allo
spartiacque. Come riferimento, occorre scavalcare la cresta Nord–Ovest
subito prima della macchia di ginestrone.
Attraversando in quota un impluvio si va a doppiare la cresta Nord – Ovest.
Con ripide svolte nel castagneto si perde quota velocemente fino a imboccare
una buona traccia che più in basso si collega al sentiero che da Gallena
sale verso la cresta Nord del M. Ornato. Ormai la via è evidente e senza
possibilità di errore.
La mulattiera, ben conservata, passa accanto alla presa dell’acquedotto,
difesa con una recinzione; in corrispondenza del castagneto secolare, difeso
con terrazzamenti per combattere l’erosione delle acque meteoriche, è
possibile dissetarsi presso alcune piccole cisterne che servono anche per
dissipare la pressione dell’acqua.
Si giunge infine a Gallena: alla prima casa del paese si nota a destra una
grande strada lastricata: molto probabilmente è questa la via per portarsi
al Bottino, specialmente alle laverie.
Presso una casa abbiamo scambiato due parole con
alcune persone del luogo: si viene a sapere che da Gallena esiste un
sentiero che conduce alle cave del M. Costa; guardando meglio il fianco
della montagna, in effetti, si scorge qualcosa tra i fitti arbusti.
Il paese di Gallena, in posizione soleggiata, appare accogliente; anche le
persone incontrate si sono mostrate cordiali.
Esiste da Gallena un sentiero che scende in valle
all’Argentiera, ma le indicazioni ricevute dalla gente del posto non sono
state molto incoraggianti. Considerando l’ora tarda del pomeriggio, abbiamo
preferito scendere per la strada di accesso al paese, tagliando le curve
dove possibile.
Solamente quasi giunti al ponte di Gallena abbiamo potuto constatare che non
solo esiste un’ottima mulattiera per il ponte, ma c’è pure un sentiero che,
correndo in sinistra orografica alto sopra il Fiume Vezza, si porta
all’Argentiera, come intuito da Giuseppe.
Discesi al ponte di Gallena, in un quarto d’ora
siamo ritornati all’Argentiera seguendo la strada di fondovalle