26/06/2005


Resceto, 485 m, Passo della Vettolina, 1.059 m.,Il Passo della Focoloccia, 1650 m., Monte Tambura, 1895 m.

 

Oggi abbiamo optato per la seconda montagna per altitudine delle Apuane dopo il Pisanino: la Tambura
 Il Monte Tambura è una delle più belle e imponenti vette delle Apuane,  con la sua mole domina la città di Massa. Dante, nella Divina Commedia (Inferno, canto XXXII) per evidenziare il massiccio strato di ghiaccio nel quale sono rinchiusi fino al viso i traditori, dice che non si sarebbe spezzato nemmeno facendoci precipitare spora la Tambura o la Pania (altra montagna delle Apuane): "Che se Tabernicchi vi fosse caduto o Pietrapana non avria pur dall'orlo fatto cricchi".
Purtroppo ci ritroviamo solo in sei, bè è inutile aspettare di più, possiamo partire.
Ci dirigiamo alla volta di Massa e da qui seguiamo le indicazioni che portano verso Forno e  Resceto
(485 m); quest’ultima la nostra destinazione.

Ci arriviamo in circa mezz’ora e con sorpresa notiamo che molte macchine sono già parcheggiate prima di entrare in paese, indossiamo gli scarponi e ci avviamo verso la piazzetta dove finisce la strada. Qua è meglio fare una buona scorta d’acqua perché non troveremo più per tutto il percorso.
Imbocchiamo la via appena sopra la piazzetta da prima asfaltata ma poi diventa subito sterrata da qui comincia la famosa Via Vandelli,
ardita opera di ingegneria stradale nata per mettere in comunicazione Modena con massa, valicando l'Appennino e le Apuane. La strada, iniziata nel 1738 e terminata nel 1751, prende il nome proprio dal suo progettista, l'ingegnere Domenico Vandelli.
La percorriamo per pochi metri e poi prendiamo sulla sinistra il sentiero n° 170 per il Passo della Vettolina  e Case Carpano. All’inizio non è che sia un gran che infatti proseguiamo su una strada che conduceva ad una cava ormai abbandonata, poi, terminata la strada inizia un sentiero, una volta mulattiera ma per molto tempo dimenticata e quindi in alcuni tratti è solo una traccia, la difficoltà più grossa è dovuta comunque dalle numerose piante di ginestroni che con le loro spine ci rendevano la vita difficile, in molti tratti inoltre il sentiero è di difficile individuazione per via di una folta vegetazione di felci e erba alta, comunque con attenzione si distinguono bene i segni posti di recente. Il caldo è opprimente neanche a queste quote si respira! Si giunge in prossimità di un ravaneto, e su una roccia è segnalata una fonte, la cerchiamo ma troviamo sepolta nella vegetazione una piccola cannella che butta fuori pochissime gocce d’acqua, che delusione!!
Ora si entra in un boschetto e si può tirare un po’ il fiato cè un po’ di fresco e si cammina meglio, intanto si intravede il crinale segno che il tratto più ripido sta per finire. Infatti in breve giungiamo alla Foce della Vettolina (m.1.059) antico valico di pastori.

Qui abbiamo una vista che solo questa ci ripaga della fatica fatta sin qua, lo sguardo si allunga dal golfo della Spezia a tutte le montagne delle Apuane settentrionali, il Sagro, il Grondilice, il Contrario e il Cavallo, sotto di noi la splendida valle degli Alberghi che sale dal paese di Forno. Ci fermiamo un po’ a goderci questa meraviglia, insieme a noi molti altri escursionisti, che strano sembra che oggi tutti vogliano andare sulla Tambura!  Ripartiamo finalmente il sentiero prosegue in leggera salita e cosa non trascurabile è all’ombra camminiamo e non possiamo pensare a chi viveva qui nei periodi estivi portando con se le greggi al pascolo, ancora oggi un unico pastore resiste testimone di antiche memorie, purtroppo le molte case, le case Carpano, sono ormai dei ruderi ma guardando i fianchi della montagna si distingue sempre le zone che venivano coltivate in terrazzamenti. Giungiamo ad una ripida salita tra alto paleo e si fatica un po’ trovare il sentiero ma comunque si sale agevolmente sino ad arrivare ad una corta crestina che si affronta senza problemi da qui il panorama è ancora più bello perché si apre anche sulla valle di Resceto comprendendo oltre i citati monti anche la Tambura, la cima che ci prefiggiamo di raggiungere, l’alto di Sella e il Sella, il Fiocca e il Sumbra e molte altre ancora. A tale bellezze ti viene meno il fiato, già ne avevamo poco per il caldo e la fatica fatta si qua ma ne vale sicuramente la pena. Seguiamo la crestina per pochi metri e  giunti in prossimità di una cava e aggirando una casa di cavatori  si seguono i segni che proseguono su lastroni di marmo, giungendo ad una strada di cava e da qui inizia lo scempio, infatti il sentiero viene prima interrotto e poi scompare del tutto proseguendo per una strada marmifera.
Non ci resta che seguire la polverosa strada, a noi si uniscono altri escursionisti, molti altri ne vediamo scendere dalla Tambura, ma che cos’è? Tutti gli escursionisti della zona si sono dati appuntamento qui? Ci viene qualche dubbio e domandiamo il perché di una così nutrita presenza di persone dove di solito si possono contare sulle dita delle mani i camminatori.
Ci svelano il mistero, oggi viene svolta al Passo della Focolaccia una manifestazione per la tutela e la salvaguardia del Passo e di tutte le Apuane.
Bè l’idea ci sembra buona ma pensiamo anche che potrebbe degenerare visto anche che sono presenti molti cavatori che vogliono difendere il loro lavoro.

Noi proseguiamo verso il passo che finalmente raggiungiamo togliendoci da quella polverosa strada.
Il Passo della Focoloccia, m. 1650, situato tra il Monte Cavallo, m. 1890, e il Monte Tambura, m. 1895, e per l’appunto sconvolto dalle cave di marmo. Questo era un tempo un verde e ameno luogo e proprio qui fu inaugurato il 18 maggio 1902 il "Rifugio Aronte" (il più antico di tutte le Alpi Apuane) da parte del CAI ligure: dal passo lo sguardo si affaccia su Resceto, da cui giungono due ripidissime lizze (la lizza del Padulello o lizza Silvia e la lizza della Focoraccia) o sulla vicina Punta Carina, guglia dalla caratteristica forma di pugnale e palestra di roccia per gli scalatori.
Ci fermiamo un po’ per capire di cosa tratta la manifestazione e notiamo che ben presto gli animi si scaldano tenendo ognuno la sua posizione.
Una piccola riflessione la vorrei fare anch’io: Dunque è innegabile che il territorio è stato deturpato in maniera scellerata ma è anche vero che molte famiglie e anche molti posti di lavoro in tutta la zona tra le province di Massa e Lucca sono legati all’attività estrattiva. Allora io penso che bisognerebbe mettersi ad un tavolo e guardarsi negli occhi e ognuno cedere su qualche posizione. Per esempio una più controllata gestione delle cave con prelevamenti già stabiliti, pulizia delle stesse cave da rottami e ravaneti e magari estrazioni da cave in galleria che hanno sicuramente meno impatto sull’ambiente e dall’altra parte rispetto per chi fa un lavoro duro antico di millenni. Insomma esser meno intransigenti l’uno verso l’altro, queste idee possono venire anche smentite ma sicuramente ce ne potranno essere molte altre sicuramente più valide fatte da esperti nel settore.
Chiusa la parentesi, iniziamo la salita vera e propria alla Tambura.
Partiamo solo in quattro, il caldo soffocante a tagliato le gambe a due di noi, si decide che ci ritroveremo al Passo.
Prendiamo a destra della cava e giungiamo a un sentiero che ogni volta ci vai cambia posizione in funzione dell’avanzare della cava, il sentiero  è il 148, all’inizio è più un ravaneto che un sentiero ma ben presto si guadagna la cresta e si prosegue spediti su e giù per due gobbe e poi si vede finalmente la vetta.

Guido no ce la fa più a restare indietro e parte a spron battuto e in breve è già in vetta dopo un po’ arriviamo anche noi.
Decidiamo di riposarci dieci minuti e poi di ricongiungerci agli altri per pranzare in sieme.

Intanto ci godiamo lo spettacolo, panorama eccezionale: lo sguardo si rivolge a tutte le cime delle Apuane settentrionali, in particolare al Pisanino, la Roccandagia, il Cavallo e il Pizzo Maggiore, la valle  di Vagli con il suo lago, in Garfagnana, gli Appennini, la Versilia, il mar Tirreno e se fosse stato più limpido si potevano veder tutte le isole dell’arcipelago toscano.
Qualche fotografia, uno spuntino e poi via riscendiamo sotto un sole cocente la discesa come la salita non presenta difficoltà eccessive ma comunque è d’obbligo stare sempre in guardia e procedere con prudenza, non dobbiamo dimenticarci che si cammina sul filo di cresta.
In quarantacinque minuti si torna al Passo, la manifestazione stà proseguendo, un po’ ascoltiamo ma poi la fame si fa sentire e ci cerchiamo un posto all’ombra, ci sistemiamo e oggi visto che i soliti frettolosi  non ci sono ce la prendiamo calma.
Risotti freddi, panini imbottiti, una bella birra fresca, si proprio fresca perché ci portiamo anche le borse frigo nello zaino. Pesano un po’ ma sai che soddisfazione bersi una bella bevanda fredda e gustarsi un bel budino o una coppa alla panna e fragole!
Naturalmente anche i nostri liquorini per digerire il tutto, un bel pik -  nik all’ombra godendoci la guglia della Punta Carina davanti a noi mentre due alpinisti si cimentano nella scalata, ce la fanno!
Siamo lì ci godiamo il fresco dell’ombra davanti a noi uno degli spettacoli più belli delle Apuane, dietro di noi la sfascio di una cava, peccato. E’ ormai ora di togliere le tende, ci avviamo e questa volta decidiamo di scendere dal sentiero n°166 b della Lizza del Padulello o lizza Silvia;
unica per la pendenza sempre fortissima, con il 15 % nel tratto più alto e poi sempre fa il 50-60 % con punte dell’80-90%.

 Dal Passo scendiamo per la sterrata fino ad una casa di cavatori presso le cave del Padulello,. Appena sotto il piazzale davanti la casa di servizio della cava inizia la via di lizza, bisogna fare un po’ di attenzione perché i detriti buttati per costruire la strada sterrata l’hanno ricoperta, comunque è segnata, si scende sulla “lastronata” di marmo del Piastrone (m.1.357) e grazie a tacche intagliate nel marmo ci è più agevole proseguire, alla nostra destra ci appare la guglia di Piastra Marina, una slanciata cuspide calcarea che s’innalza a valle per 150 mt, staccandosi nettamente dal costone roccioso che scende dal Piastrone.
Scendiamo per la ripidissima via di lizza, per chi non conosce queste vie basti dire che fino agli anni cinquanta venivano ancora usate come scivoli per trasportare a valle enormi blocchi di marmo . Naturalmente il nostro pensiero è andato più volte a chi con enormi sacrifici e anche a costo della vita facevano questo mestiere, a testimonianza di questo rimangano moti forti per i “piri”, quest’ultimi erano dei cippi di marmo o legno dove venivano avvolte le corde che trattenevano i blocchi e lasciate lentamente per far si che il marmo scendesse piano evitando disgrazie che però accadevano troppo spesso. Altra testimonianza sono appunto i profondi solchi lasciati sulla roccia dalle corde che sfregandoci sopra la consumavano.
Continuiamo ancora la discesa, incontriamo numerosi gruppi d’escursionisti che si riposano all’ombra stremati dal caldo, anche noi facciamo un paio di soste per ristorarci con delle belle bevute, l’acqua ghiacciata che ci siamo portati dietro per rinfrescare frutta e birra si rivela provvidenziale quando non ha più quello scopo. Ora è una bella bevanda che rinfresca tutto il corpo.
Superiamo le ultime discese ripidissime e ci troviamo sul tracciato della Via Vandelli che scende dal Passo della Tambura, siamo molto vicini al paese di Resceto. Ben presto si intravedono le prime case e la via diventa una strada asfaltata che ci conduce in breve nella piazzetta del Paese dove una bella fontana ci attende per toglierci finalmente tutto quel sudore di dosso, una bella maglietta asciutta,via gli scarponi, un bel paio di sandali e via alla nostra gelateria di fiducia a Ripa dove un mega gelato ci attende.