14/07/2007 Dal tramonto all'alba in Pania della Croce
La Pania della
Croce (m 1859): ""La Pania è la regina delle Apuane tanto che un
tempo questa catena montuosa veniva identificata come Panie dal nome della sua
montagna più nota, mentre l'attuale denominazione di Alpi Apuane è stato
assegnato al gruppo montuoso solo in età napoleonica:un tempo la Pania veniva
chiamata "Pietrapana" in quanto questi monti erano stati abitati per
nove secoli dagli Apuani, una tribù ligure e la catena montuosa, ma soprattutto
la sua vetta per eccellenza, aveva preso il nome da questi antichi abitatori
"Pietrae Apuanae", cioè monti degli Apuani. Perfino il Boccaccio nel
suo "De Montibus" ricorda la Pania come "Pietra Apuana Mons"
e Dante nel canto XXXII dell'Inferno della Divina Commedia nei versetti 28/30
quando parla del ghiaccio che ricopre il lago di Cocito dice che era così
spesso "…che se Tambernicchi vi fosse caduto o Pietrapana, non avrìa pur
dall'orlo fatto scricchi" dove per Tambernicchi si intende il Monte Tambura
e per Pietrapana la Pania alla Croce. Ludovico Ariosto, governatore della
Garfagnana per conto degli Estensi dal 1522 al 1525, afferma: "La nuda
Pania tra l'Aurora e il Noto, da l'altre parti il giogo mi circonda che fa d'un
Pellegrin la gloria noto". Tra i primi scienziati e personalità importanti
a salire sulle pendici della montagna ricordiamo il botanico Bacone nel 1600, il
naturalista e medico Antonio Vallisneri, nativo di Trassilico paese della valle
della Turrite di Gallicano, che nel 1705 la definì "Un monte asprissimo,
sterile, nudo,noto appena alle fiere" (tanto per avere un'idea di cosa si
pensasse a quei tempi!), l'abate Leonardo Ximenes, geografo, matematico e
fondatore dell'osservatorio astronomico fiorentino a lui intitolato
(l'Osservatorio Ximeniano), nel 1747 raffigurò in una incisione in rame la neve
da lui osservata nella Buca della Neve della Valle dell'Inferno, Augusto di
Sassonia che tenta di salirvi nel 1853, Utterson Kelso nel 1871 e l'inglese
Douglas W. Freshfield" che vi sale nel 1883 e in un "Alpin
Journal" cita la meravigliosa esperienza fatta nel mese di maggio di
quell'anno salendo in vetta alla montagna. " ( brano
storico è tratto dal sito www.alpiapuane.com/corrispondenti/pania.htm)
Ecco l'alba (tra selve aride i fossi vanno
col fumo di vaporiere), piena d'un tintinnìo di pettirossi, cui risponde un tac
tac di capinere...
Su la nebbia che fuma dal sonoro Serchio, leva la Pania alto la fronte nel
sereno: un aguzzo blocco d'oro, su cui piovano petali di rose appassite. Io che
l'amo, il vecchio monte, gli parlo ogni alba, e molte dolci cose gli dico:
LA PANIA
O monte, che regni tra il fumo del nembo, e tra il lume degli astri, tu nutri
nei poggi il profumo di timi, di mente e mentastri.
Tu pascoli le api, o gigante: tu meni nei borri profondi la piccola greggia
ronzante.
Sei grande, sei forte: e dai cavi tuoi massi tu gemi, tu grondi del limpido
flutto dei favi.
Sei buono tu, grande tra i grandi: né spregi la nera capanna.
Al pio boscaiolo tu mandi sovente la ricca tua manna.
Gli mandi un tuo sciame, che scende giù giù per la valle remota, qual tremulo
nuvolo, e splende.
Lo segue un tumulto canoro; ché timpani, cembali, crotali chiamano il nuvolo
d'oro.
Dico: egli ride roseo, ma scorso il suo minuto, ridoventa azzurro e grave. Io
scendo lungo il Rio dell'Orso, ne seguo un poco il fievole sussurro.
E me segue un tac tac di capinere, e me segue un tin tin di pettirossi,un
zisteretetet di cincie, un rererere di cardellini. Giungo dove il greto
s'allarga, pieno di cespugli rossi di vetrici: il mio luogo alto e segreto.
Giungo: e ne suona qualche frullo, un misto di gridii, pigolii, scampanellii,
che cessa a un tratto. L'hammerless m'ha visto un fringuello, che fa: Zitti! sii
sii
(sii sii è nella lingua dei fringuelli quello che hush o still, o Percy, in
quella
di mamma: zitti! tacciano i monelli)...
E sento tellterelltelltelltelltell (sai? tellterelltelltelltell nella favella
dei passeri vuol dire come out! fly! scappa, boy, c'è il babau!)... Dunque più
nulla.
Silenzio. Odo il ruscello che gorgoglia,e non altro. Il fringuello agile frulla
e, lontano, finc finc... Cade una foglia...
Proprio l'ultima (guardo) d'un querciolo secco! E` bastato il soffio di
quell'ala, è bastata la molla di quel volo: eccola giù. Mi siedo sopra il
greppo.
Era come una spoglia di cicala (penso), rimasta a quel non più che un ceppo:
era gialla, era gracile; ma era l'ultima; che più dì, pendula, tenne...
Come il povero vecchio ora dispera, vicino al Rio che mormora perenne!
Sono mesto. Perché? Non lo so dire.
Intanto, tra le canne, tra la stipa, sento un brusire ed uno squittinire, che
dico? un parlottare piano piano.
Ma sì, parlano a me, che dalla ripa tacito ascolto, il mento su la mano.
Sento:
IL PITTIERE
- Tin tin! anche te? che c'invidi due pippoli e due gremignoli?
tin tin, te che piangi sui nidi che pìano pìano soli?
Si viene, tu vedi, da bianche montagne, da boschi d'abeti, con l'ale, puoi
credere, stanche.
Si fa questi bruci, che sono nei bussoli e negli scopeti... Sapessi che fame!...
Sii buono! -
E poi:
LA CAPINERA
- Tac tac! anche te? non rammenti le sere di quella tua mesta città? le tue
lagrime ardenti?
quel canto d'ignota foresta tra l'onda di tante campane, tanti urli di folla, e
tra il sordo fragore di ruote lontane?
Piangevi: e saliva il mio canto, con l'eco d'antico ricordo, col suono di nuovo
rimpianto.
E poi:
L'ALLODOLA
- Uid uid! anche tu ci fai guerra?
tu che ci assomigli pur tanto, col nido tra il grano, per terra, ma sopra le
nubi, col canto?
Te rode una cura segreta; tu cerchi l'oblìo de' tuoi mali.
Ma sei come tutti, o poeta?
Tu piangi il tuo povero nido per terra... Ma vieni, ma sali, ma lancia nel sole
il tuo grido!
Cara allodola! - E dopo? - Dopo? Impugno l'hammerless e... ritorno via. Si
rischia
d'infreddare: gennaio non è giugno.
Tra i ginepri c'è un merlo che mi fischia.
E un forasiepe: - Eh! tu torni... so dove.
Oh! il tuo bel nido, che nemmen ci piove!
Giovanni Pascoli