LA "LEGGENDA DEL MONTE FORATO"

di Enrico Pea


...(Gesù, Giuseppe, Maria e l'asinello sfuggono all'ira di Erode e pervenuti sulle rive del Nilo, si accingono con una barchetta costruita da Giuseppe Stesso, a attraversare il mare); «con un vento così misurato che non scompigliò mai, durante il viaggio, le onde, che non arruffò le nuvole, la imbarcazione dei Santi traversò il Mediterraneo, dall'Egitto alle spiagge Toscane, si fermò al fortino di Motrone.
A Motrone ...la barchetta approdò. Gli angioli la tirarono sulla spiaggia all'asciutto e l'asinello fu il primo a saltare sulla rena, per sgranchirsi le gambe di legno. Cominciò a ruzzare come fanno gli asinelli in primavera, a rotolarsi sulla sabbia fine e calda, e, come Dio volle, si sentì ricrescere il pelo color tortora sulla groppa. E gli orecchi ritornarono lunghi come quando stava a Betlemme. Si provò a ragliare, e gli riusciva di farlo magnificamente bene: tirava su le labbra come se imparasse a cantare. Scopriva i denti e pareva che ridesse. Non c'era più necessità di rimanere di legno e piccolino dentro quel guscio d'albero. Ora, anzi, bisognava lasciarsi rimettere la soma sul dorso: il viaggio non era al suo termine. Era anzi urgente decidersi a riandar via; arrampicarsi sui nostri monti, nel cuore della Versilia alta. E di nuovo, come per altre fughe, non c'era tempo da perdere. La minaccia di Erode era più che mai da temere, se Erode ora si disponeva a traversare il mare dietro le tracce di Gesù, per sorprenderlo e ucciderlo. Il mare era infuriato e soffiava un vento che veniva dal Nord. Tutto l'opposto di prima: mare agitato, cielo torbido, vento freddo e furioso. E la ragione di un simile voltafaccia degli elementi, fu subito risaputa: gli angioli lo dissero; era Erode che, deluso di non aver potuto raggiungere Gesù sulle rive del Nilo come sperava, adesso aveva armato le galere e navigava alla volta della nostra spiaggia con i soldati, coi servi, col boia: diavoli come lui, ubriachi e dannati.
Il mare, il cielo e il vento contrario, irati, si rovesciarono contro le navi di Erode per ostacolare nella velocità e ritardarne l'arrivo. Ma poi, sia pure con difficoltà, per l'avverso tempo, le navi maledette sarebbero ugualmente arrivate qui. Le tribolazioni di Gesù, di Giuseppe e di Maria non erano dunque finite. Senza perdere la pazienza, Maria riprese posto sulla groppa del somarello, col Bambino sulle ginocchia, e su in cammino. Da Motrone a Pietrasanta attraverso macchie, che, allora, non c'erano strade. E da Pietrasanta a Vallecchia, sotto il monte sulla strada del fiume, fino a Corvaia, Seravezza, Ponte di Stazzema;
sulla strada maestra, tra il fiume e il monte, era agevole andare. Anche per Giuseppe che andava a piedi, colle briglie nella destra e il bastone come sulle vie di Betlemme. E l'asinello non faticava, perché la Madonna era tutto spirito; nell'apparenza di esile giovinetta pesava quanto Gesù Bambino.
Ora conviene girare a destra; salire al Cardoso. E poi; per la mulattiera al Passo di Petrosciana. Di là si vede la Pania rosa, di qua le grottacce. E salire ancora, sfociare dietro il Monte Procinto che sta in mezzo ai nostri monti, come un enorme altare. Come una torre fortificata che guardi verso il mare per tenere a rispetto chi si avventurasse, sbarcando nemico su queste alture. Le vedette di Gesù che, come vi ho detto, sono gli angioli invisibili, dal sommo del Procinto sorveglieranno la valle. E avvertiranno sporgendosi dalla parte del monte, appena Erode con le sue orde inizierà la scalata. Tra il Procinto e il monte che gli sta di fronte c'è una prateria di erba sempre tenera, quasi per miracolo disobbediente alle leggi di stagione...
Dal Procinto le vedette annunziano la scalata di Erode. Maria e Giuseppe levano gli occhi al monte che hanno ancora da valicare. Si inoltrano nel prato e Maria scende di soma, piano, che Gesù è appisolato. L'asinello si dà pazzamente a ballare nell'erba fiorita. Le caprette belano, si spaventano e fuggono. Traversano un campetto di lupini ancora da raccogliere sui sarmenti secchi e il frastuono delle frasche e dei chicchi nelle bacche si fa sonoro come se quegli stecchi secchi del campo si fossero mutati in corde di strumenti.

A questo punto Gesù si svegliò.
Maria si conturbò.
Giuseppe affrettò il passo:
scosse la briglia all'asinello pazzo.
Gli angioli misero i canestri in terra
e si inginocchiarono
davanti al monte
che si era forato.
Da quel portone spalancato
aperto d'improvviso
veniva una brezza di mezzogiorno.
E il cielo appariva accostato alle rocce
come se fosse quell'apertura
la porta del paradiso.
Gesù sospirò e disse «Grazie!»
Maria capi che bastava il cammino.
Giuseppe levò il basto e la briglia al quadrupede pazzerello, che si mise di nuovo a pazzarellare.
Spogliato come Dio l'aveva fatto:
si levò perfino i logori ferri di sotto le zoccole
a furia di treppicare.
Gli angioli li raccolsero e li conservarono e dissero:
«Non si sa mai!»


Ma già sapevano che una fenditura si era operata al di là del prato, dalla parte del Monte Procinto. Larga, da potere inghiottire cariaggi, e fonda tanto fino a scoprire l'acqua del mare che si quassù a laggiù la distanza misurava duemila braccia. Era uno spacco che staccava questo monte dall'altro per miglia e miglia di traverso. E praticato in modo fra gli alberi e le grotte, che chi sale non vede: se ne accorge mentre precipita, ma è tardi per potersi aggrappare, chè l'abisso attrae per duemila metri, fino al filo dell'acqua del mare che gorgoglia, e più giù, chè sotto c'è l'inferno aperto che fuma. Ecco il trabocchetto che aspetta tra poco Erode, i soldati, i servi e il boia. Il precipizio da cui non potrai risalire mai più, o cattivo Erode, alla luce del mondo!
Dal prato al Forato è breve lo spazio. L'asinello può rimanere nel prato a finire di levarsi le ruzze: quello è il suo premio, dopo essere stato tanto obbediente. Ma la famiglia deve accamparsi sotto le grotte del Forato dove Dio ha indicato. E per quanto non sia più necessaria la fretta, pure Giuseppe e Maria si dispongono subito per preparare la nuova casa. Gli angioli custodi, rimasti in ascolto fuori della grotta, odono venire dalla fenditura del monte che abbiamo detto, al di là del prato, frane come di terremoto. Urli umani. Nitriti, ruggiti, boati. È l'esercito di Erode che si sconquassa nel precipizio. L'incubo è finito. Le armi, le macchine, le bestie, i soldati, i servi, il boia ed Erode, già sono una maceria, un pattume inerte in fondo alla voragine.

 

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