LA VALSAVARENCHE
Racchiusa dal massiccio del Gran Paradiso, la Valsavarenche confina con le Valli di Rhemes e Cogne, e alla testata con la Valle Orco con il piano del Nivolet. E’ attraversata dal torrente Savara, che si getta nella Dora Baltea nei pressi di Villeneuve (AO), dopo aver superato foreste e gole rocciose. Grazie alle sue caratteristiche, la valle è rimasta a lungo isolata; l’interesse turistico nei suoi confronti si è sviluppato solo a partire dall’Ottocento, quando il re Vittorio Emanuele II la scelse come meta prediletta delle battute di caccia, di cui era grande appassionato. Qui il sovrano poteva infatti dedicarsi alla caccia al camoscio e allo stambecco, diventati poi simboli del Parco Nazionale del Gran Paradiso, istituito nel 1922. Oltre che da camosci e stambecchi, le montagne della Valsavarenche sono abitate da aquile reali, gipeti e i più grandi rapaci alpini. Il territorio è estremamente vario, con ghiacciai e laghi alpini, che caratterizzano il paesaggio d’alta quota, ed è base di partenza per l’ascesa al Gran Paradiso (m 4061), l’unico 4000 interamente italiano.
La
Valsavarenche è attraversata da una strada che dal piccolo comune di Introd,
all’imbocco della valle, raggiunge Dégioz, a 1540 metri, ai piedi della
Grivola e del Gran Nomenone, e arriva a Pont per terminare proprio alle falde
del Gran Paradiso.
Il Parco
Nazionale del Gran Paradiso, primo parco nazionale istituito in Italia,
abbraccia un vasto territorio di alte montagne, fra gli 800 metri dei fondovalle
e i 4.061 metri della vetta del Gran Paradiso.
Il territorio del Parco, a cavallo tra Piemonte e Valle d'Aosta, si estende su
circa 70.000 ettari in un ambiente di tipo prevalentemente alpino. Le montagne
del gruppo del Gran Paradiso sono state in passato incise e modellate da grandi
ghiacciai e dai torrenti fino a creare le attuali vallate. Nei boschi dei
fondovalle gli alberi più frequenti sono i larici, misti agli abeti rossi, pini
cembri e più raramente all'abete bianco. Man mano che si sale lungo i versanti
gli alberi lasciano lo spazio ai vasti pascoli alpini, ricchi di fiori nella
tarda primavera. Salendo ancora sono le rocce e i ghiacciai che caratterizzano
il paesaggio, fino ad arrivare alle cime più alte del massiccio che toccano i
4.061 metri proprio con quella del Gran Paradiso.
Eccoci arrivati
il tempo di mangiare un panino,
lasciamo la macchina sul piazzale dove finisce la strada
e siamo già partititi per la nostra meta che oggi è il
rifugio Vittorio Emanuele dove alloggeremo in attesa della
partenza per la vetta del Gran Paradiso, un quattromila non
troppo difficile ma comunque impegnativo. Questa per me è la
terza volta che ci provo e spero proprio che non ci siamo
intoppi di nessun genere.
Attraversiamo il torrente Savara e imbocchiamo il sentiero n°1 per il Rifugio
Vittorio Emanuele, il sentiero è molto battuto e tenuto in buonissimo
stato.
Costeggiamo per un tratto il torrente nel
pianoro
che conclude il vallone di Seyvaz
e dopo circa ottocento metri si sale in un bosco di larici per poi uscirvi
intorno ai 2200 m. Dopo alcuni tornanti in cui la mulattiera si fa più ripida
si raggiungono i resti dell'alpe La Chantè a circa 2300 mt e poi attraverso
praterie.
Stiamo salendo tranquillamente tra varie amenità e godendo dello spettacolo che
ci si pone davanti e pregustiamo già la bellezze che potremo godere quando
saremo più in alto, si molto più in alto perché noi almeno stavolta siamo
determinati a toccare i
4061metri del Gran Paradiso.
Arriviamo in meno delle due ore indicate a Pont al rifugio, costruzione in metallo a
forma di mezza botte rovesciata
collocato al margine del laghetto di Moncorvè, visibile soltanto all'ultimo,
da dove si ha anche una grandiosa veduta sul
Ciarforon (m 3.640) e sulla Becca di Monciair (m 3.544).
Ci presentiamo al gestore e ci da una camera abbastanza accogliente che
dovremo dividere con altri tre escursionisti,
forse un pò piccola per cinque.
Ognuno prende il suo posto e sistemiamo gli zaini e poi
andiamo a scaldarci al sole.
Ma purtroppo il sole vien presto oscurato da nere nuvole che
preannunciano pioggia e ben presto eccola che arriva da
prima qualche piccola goccia poi giù torrenziale, i fulmini
e tuoni fanno veramente paura. E' un fuggi fuggi continuo.
Siamo rinchiusi in camera a guardare dalla finestra il
temporale quando c'è la chiamata per la cena, cena che
consumiamo
voracemente, da non dimenticarsi che siamo con un panino dall'ora di
pranzo.
Ci attardiamo ancora un pò a parlare ma poi decidiamo che forse è meglio se
proviamo a dormire, sono le ventuno e ancora non è buio ma dobbiamo sforzarci a
riposare perché alle 03,30 la sveglia sarà inclemente.
OK tutti a letto, la notte passa tranquilla senza problemi di russatori o altro.
Io mi sveglio già prima dell'ora fissata, mi affaccio subito alla finestra
e vado subito alla ricerca di qualche stella.
Quale buon auspicio di vedere una stella cadente ci poteva essere? Un pò di
stelle ne vedo, una era una stella cadente e per di più su in alto sulla morena
già si stanno arrampicando, alcune lampade frontali accese me li indicano.
"Forza svegliati pelandrone andiamo a fare colazione e via
partiamo" Si infatti appena pronti ci accingiamo a partire.
Si parte alla luce delle pile frontali si sale in direzione Nord Est. Il
percorso si snoda tra grandi massi che si superano seguendo gli omini di pietre
e la traccia di sentiero.
Mi sento molto bene e salgo agevolmente, sono proprio contento mi sento
che non avrò problemi a conquistarmi questo 4000. Seguo la traccia e gli
"omini " il problema è che ce ne sono ovunque e mi accorgerò poi che
vi sono diversi itinerari da poter seguire, va be! Seguo le luci che ho davanti
a me
Giriamo poi a destra (direzione est) in un valloncello
delimitato dalle ampie morene laterali del ghiacciaio,
camminiamo in un canale che raccoglie l'acqua del
ghiacciaio, ma ben presto l'acqua che scorreva sotto i
nostra piedi si insinua sotto la massa nevosa, neve che non
è per niente ghiacciata e per questo primo tratto preferiamo
salire senza ramponi, ma eccoci alla la base del vero e
proprio ghiacciaio dove calziamo i ramponi, per legarci
aspettiamo ancora un attimo, saliamo il primo e ripido
pendio che ci permette di accedere alla parte alta della
salita, caratterizzata da ampi dossi nevosi più o meno
impegnativi a seconda della quantità di neve presente.
Alla
sommità di questa prima salita approfittando della presenza
di sassi asciutti, indossiamo l'imbrago e ci leghiamo in
cordata. Camminiamo abbastanza spediti senza grosse
difficoltà ma poi quando si gira verso nord est si arriva ad
affrontare la " Schiena d'asino" ripidissima!!
Superiamo questa salita e guadagniamo il Colle della Becca di
Moncorcè (3850 m), proseguiamo affrontiamo ancora qualche
tratto ripido e con qualche piccolo crepaccio,
costeggiamo poi la base il torrione roccioso del Roc; ed
eccoci finalmente alla Crepacciata che sappiamo essere
l'ultima salita prima della rocciosa cresta sommitale.
Siamo sulla cima finalmente al terzo tentativo eccomi quì
dobbiamo affrontare solo gli ultimi due metri di crestina
per giungere alla Madonnina di vetta, ci proviamo, prendiamo
l'esposta cengia
dove
l'appoggio per i piedi è limitato ad alcune decine di
centimetri, a strapiombo sul ghiacciaio della Tribolazione,
con un salto di 500-600 metri. C'è molto vento e fà molto
freddo e la confusione è tanta, i molti che sono saliti
quassù voglio passare o tornare indietro contemporaneamente
e gli urti sono frequenti inoltre i ramponi non permettono
di muoverci agilmente, siamo a pochi metri, vediamo la
Madonnina, la saluto da quì ma poi decidiamo di non
rischiare di più e torniamo sui nostri passi.
Siamo felici, la prima vetta l'abbiamo conquistata,
riprendiamo la via del ritorno, ritorno che si fa più
faticoso in quanto la neve ora comincia a sciogliersi e
camminare in discesa non è molto agevole. facciamo una sosta
per mangiare qualcosa e poi via di nuovo verso il Vittorio
Emanuele, Che ben presto raggiungiamo. Mangiamo un piatto di
pasta e poi riprendiamo il sentiero che ci riporterà a Pont
dove abbiamo l'auto; prossima fermata Morgex,
comune montano in provincia di
Aosta con circa millenovecento abitanti. Sorge alle falde
meridionali del monte Cormet. In questo paese vive la
famiglia, amica di Marco, che ci ospiterà nei momenti di
riposo tra un'escursione e un'altra. Ci rechiamo dalla
signora Lina, mamma di Giovanna e nonna di Giulia, tutte
persone simpatiche e molto cordiali, inoltre con un cuore
grande così, soprattutto la signora Lina è molto combattiva
e dà l'impressione che sia lei che tiene unita la famiglia.
Ci accoglie con calore, anche a me che ancora non conosce,
non finisce mai di dirci: " che cosa posso darvi? Un pò
d'insalata? del formaggio? che cosa?" Inutile dirgli che non
si deve scomodare ma alla fine accettiamo della fresca
insalata di campo da lei coltivata. Siamo un pò stanchi e
andiamo alla casetta che ci mettono a disposizione; si trova
all'alpeggio nella frazione di Arpy.
Arpy è situata a 1690 mt. e appartiene al comune di Morgex e
dista 3,15 chilometri dal comune medesimo in provincia
d'Aosta.
La casetta è piccola ma
molto bella e curata nei minimi particolari, inoltre siamo
in uno scenario magnifico. La prima vetta è stata fatta ora
non ci resta che riposarci, dopo cena andiamo subito a letto
e non tentenniamo ad addormentarci.
Ci svegliamo alle ore 08,30, siamo riposati abbastanza,
facciamo colazione e oggi è giornata di riposo. Scendiamo a
Morgex e andiamo a trovare la Giovanna nel suo negozio di
fotografia. Anche quì grandi feste, l'accoglienza è stata
calorosissima.
Rimaniamo un pò con lei ma poi andiamo a fare un pò di spesa
e pranziamo, nel pomeriggio riposiamo per recuperare le
forze e in serata prepariamo tutto l'occorrente per
affrontare la grande sfida: la salita al Monte Bianco.
La notte passa tranquilla, senza quel patema che sorge
sempre alla vigilia di un grande impegno, bene così.
Sono le ore 05,00, facciamo colazione e dopo un'ultima
occhiata allo zaino per essere sicuri di aver preso tutto
partiamo alla volta di Courmayer.
Trovare il tunnel non è difficile è segnalato
ad ogni passo.
Eccoci arrivati al casello: " Buon giorno, biglietto andate
e ritorno, grazie " Casellante: " Buon giorno 47 € grazie "
Alla faccia! per 11,6 km questa cifra? Va bè o bere
o affogare.
Attraversiamo il tunnel, certo che è una bella opera
d'arte: queste sono le notizie che ho trovato su Wikipedia
Usciti dal traforo ci dirigiamo verso Camonix scendiamo poi
per circa 17 Km lungo la statale n° 205 in direzione di Ginevra.
Arrivati all'abitato di La Fayet si deviamo in direzione di
saint Gervais les Bains. In centro del paese si trova la
stazione del trenino a cremagliera detto Tramway du Mont Blanc.
Partiamo da quota 580 mt e in poco più di un'ora ci porterà al
Nid d'Aigle il nido dell'Aquila, a quota 2372 mt. proprio
davanti al ghiacciaio e all' Aiguille de Bionassay.
Monte Bianco
"L'ottava meraviglia del mondo"
davanti ai vostri occhi uno spettacolo
infinito di neve e di ghiaccio eterno, il silenzio
della montagna e la purezza dell'aria.
Qui le uniche frontiere che esistono sono sulle carte
topografiche."
Dal Nid d'Aigle alla vetta del M. Bianco
|
Il treno è bello pieno, moltissimi
sono gli alpinisti che vogliono cimentarsi in questa avventura.
Ecco che parte, i primi metri in piano e poi aggancia la
cremagliera e su per la ripida salita, attraversiamo grandi
abetaie e se mi ricordo bene fà due fermate prima di giungere a
destinazione. Apprendiamo che questo treno nel Progetto
originale prevedeva di portare i turisti sulla vetta del Monte
Bianco, poi più realisticamente, ci si è accontentati di aver
raggiunto i 2372 mt del Nid d'Aigle. Una curiosità; ogni
elettromotrice ha una livrea ed un nome diverso: Anne,
Marie e Janne, in onore delle tre figlie del proprietario della
ferrovia all'epoca della loro messa in servizio, nel 1956.
Ed eccoci finalmente davanti al cartello che ci indica la
direzione per il rifugio Gouter, dal cartello apprendiamo che
ci sono 1445 mt di dislivello che ci separano dalla nostra meta.
Prendiamo il sentiero, quì ancora comodo, ci fa piacere vedere
degli stambecchi che si crogiolano al sole senza neanche
degnarci di uno sguardo, bene significa che qui nessuno li
infastidisce; affrontiamo alcuni tornanti e poi ci spostiamo
verso sinistra in un largo canale, passiamo davanti ad un
baraccamento che non saprei dire se si tratta di un bivacco o
cos'altro, siamo su un pianoro, il tracciato gira sulla nostra
destra dirigendosi ad una cresta rocciosa salendo
progressivamente sino a raggiungere un nevaio dove, dalla parte
opposta, sorge il rifugio Tete Rousse a quota 3167m. A noi non
interessa andare a questo rifugio e pieghiamo verso la sinistra
del nevaio tenendoci più in alto andando a finire ai piedi del
bastione roccioso dell'Aiguille du Gouter.
Sapevamo, per aver letto, che ci aspettava un infido canale che
spesso scarica sassi dalla sommità ma speravamo che forse chi lo
aveva descritto avesse esagerato, ma invece....
Superato il nevaio si risale su roccia e notiamo davanti a noi
un gruppetto di alpinisti che urla qualcosa ad un'altro
che è nel mezzo al famigerato Cauloir du Gouter. E' lì nel mezzo
e una granaiola di pietre lo sfiora, dire fortuna è riduttivo,
questo è più un gran c.
Alla fine decide di abbassarsi e aspetta che la pioggia di
pietre termini, miracolosamente ne esce illeso forse le mutande
non tanto ma è illeso.
Arriva anche il nostro turno e decidiamo di non legarci per non
ostacolarci uno con l'altro e prima Marco e io dopo un attimo
partiamo, caschetto in testa e via più velocemente possibile
facendo attenzione a non scivolare.
Dall'altra parte inizia la salita su roccia, è anche divertente,
almeno all'inizio, se hai addosso tutta l'attrezzatura e la corda
arrampicarsi così diventa faticoso.
Comunque
la salita è si ripida ma facilitata dai molti appigli e
scalettamenti che vi sono, inoltre la roccia è molto solida e
stabile, nei punti un pò più esposti ci sono cavi d'acciaio per
una sicurezza maggiore. La vera difficoltà sta nel fatto che i
molti che scendono le più delle volte non è che si spostano a
facciano a turno nel proseguire, no! Tutti hanno fretta e ti
passano sopra o letteralmente. Dobbiamo fare anche attenzione a
non fare cadere sassi che potrebbero causare incidenti molto
gravi a chi è sotto di noi. Siamo ora in un tratto finale dove
aumenta la pendenza sempre attrezzato con cavi d'acciaio e in
breve siamo finalmente al Rifugio del Gouter a quota 3817( foto
a lato).
Giungiamo appena in tempo per pranzare, infatti poco dopo la
cucina chiude.
Stiamo bene non ostante la quota e dopo mangiato andiamo fuori
per ammirare il panorama, panorama bello che dai ghiacciai
scende giù sino a valle ma dopo un'ora che hai solo questa
visuale diventa un pò noioso, il restante del tempo lo passiamo
dentro il rifugio pieno all'inverosimile oltre la sua capienza.
Siamo sistemati nell'annesso al rifugio, sopra i bagni (
esterni); a proposito di bagni questi hanno la particolarità di
essere a vento e cioè con scarico diretto sul vertiginoso abisso
sottostante e quindi attenzione agli oggetti nelle tasche, la
forma dei sanitari e simile a un tronco di cono rovesciato con
foro molto ampio.
Tra dentro e fuori il tempo passa, inspiegabilmente riusciamo
rocambolescamente anche a telefonare a casa con il cellulare,
sono le 18,00 e ci servono la cena, un pò scarsa ma che ci vuoi
fare? Facciamo di necessità virtù.
Appena cenato ce ne andiamo a letto, è un pò strano andare a
letto alle 19,00 con ancora la luce del sole, Marco si
addormenta subito, del resto lui dorme da tutte le parti, per me
il mio orologio interno mi dice che non è questa l'ora di
dormire e non riesco a chiudere occhio per un bel pò. Poi passo
la nottata in un continuo sogno veglia. Finalmente suonano le
sveglie puntate alle ore 1,00, ci siamo finalmente partiremo
alla volta della cima delle cime in Europa. Prima dobbiamo fare
colazione ed entriamo nel rifugio dove i tavoli sono occupati da
quanti vi hanno dormito sopra, sotto e sulle panche. Un gestore
battendo sui tavoli li sveglia neanche tanto gentilmente
dicendogli di sgombrare e lasciare liberi i tavoli per chi è a
mezza pensione. Fatta colazione ci prepariamo: ghette, ramponi,
imbrago, piccozza e corda: e Marco dov'è? Aspetto e cerco di
trovarlo ma non lo vedo, che fine avrà fatto? A! eccolo che
arriva: " ma dove eri finito?" risposta: " Ho avuto problemi con
le ghettine" BHA! Ci leghiamo e finalmente si parte,
sono le tre.
Noi abbiamo percorso la seconda via e poi la prima via ( in rosso) |
Partiamo alla
luce delle frontali e alzando e lo sguardo noto una lunga
fila di piccole luci che si snoda su per il pendio, alcune
sono così in alto che si confondono con il celo stellato.
Teniamo un passo regolare il più possibile dimenticandoci la
cadenza veloce che teniamo sulle nostre Apuane. Percorriamo
un breve tratto pianeggiante vediamo che alcuni hanno
dormito in tenda, chi sà come sono stati con quel ventaccio
che ha soffiato tutta la notte?
Ma eccoci arrivati
all'Aiguille du Gouter. Diamo un'occhiata verso l'alto e
molto ma molto in alto una fila interminabile di piccole
luci ci dice che anche noi dovremo affrontare questa salita;
infatti risaliamo il versante nord ovest del Dome du Gouter(4304m),
ne tralasciamo la vetta abbassandoci leggermente e
raggiungiamo il Colle del Dome du Gouter.
Intanto
all'orizzonte c'è un'esplosione di colori: è l'aurora.
Laggiù verso est tutti i colori dello spettro sono
concentrati ,
qualche puntino luminoso
nel cielo blu
intenso, un leggero bagliore verso est, alcune nuvole che si
addensano all'orizzonte e che lentamente iniziano a
colorarsi con i colori del fuoco, uno spettacolo
unico magico e profondo.
Ora proseguiamo il leggera discesa e attraversiamo un
altopiano
fino alla
capanna Vallot (4362m) un rifugio non gestito per le
emergenze
che comunque
viene anche usato normalmente per la salita finale alla
vetta. Davanti a noi una ripida cresta ma a questo punto non
ci importa più di faticare arrancando, sappiamo che siamo a
portata di mano della vetta. L'affrontiamo decisamente e ad
ogni passo ci avviciniamo sempre più a quello che è stato un
sogno per tanti anni, forse non credevamo neanche noi di
arrivarci ma invece eccoci quì a due passi a salire sul
tetto d'Europa.
Ancora uno strappo e ora la cresta si fà via
via sempre più ampia sino a diventare un largo spiazzo dove
poter ammirare l'incredibile panorama che abbiamo davanti a
noi a quota 4810 mt. Sono le ore 07,30 ci abbiamo messo 4ore
e 30 le guide ne prevedono 5, niente male!!
Eccezionale veramente, la sensazione di essere sul punto più
alto del nostro continente è amplificata dall’immediata
sensazione di essere circondati da cime visibilmente più
basse. Appena giunti sulla sommità non ho potuto fare a meno
di ringraziare chi da ben più in alto ha permesso che
potessi esser quassù poi un lungo abbraccio con Marco ci ha
fuso in questa magica avventura che abbiamo compiuto, non cè
stato bisogno di tante parole è bastato quel grande e caldo
abbraccio per trasmetterci tutte le più intime sensazioni
che provavamo. Tiro fuori la bandiera della nostra nazione e
orgogliosamente ci facciamo immortalare in una fotografia
sulla vetta più alta d'Europa. Tutti questi anni trascorsi a
meditare su questa salita se era o no il caso di
affrontarla, le male lingue che sotto sotto speravano che
non ce la facessimo, la fatica, il freddo non hanno potuto
niente contro la grande determinazione che avevamo dentro di
noi e che per niente al mondo ci avrebbe fatto desistere da
arrivare a due passi da Dio.
Ma la felicità è sempre effimera: non
dobbiamo perdere tempo nella discesa, se vogliamo arrivare
al Col du Midì per l’ultima funivia.
La discesa verso il Col e l'Aiguille du Midi lo faremo
seguendo la pista che sale al Monte Bianco per la Via dei "3
mont blanc": " Mont Blanc du Tucul, Moint Blanc du Maudit e
Mont Banc".
Dalla cima scendiamo verso sinistra sul
pendio NNE per un tratto abbastanza ripido si arriva ad un
vasto plateau, quì vediamo arrivare diverse cordate e
sembrano tutti stremati, alcuni si accasciano a terra, ci
guardiamo e i nostri sguardi dicono: " ma che cosa ci
aspetta?"
Lo scopriremo presto, una ripida discesa del Mur de Cote con
pendenza di 35° ci porta al plateau del Col di Brenva,
facciamo attenzione a tersi sulla sinistra per non passare
sotto degli imponenti cornicioni che sono sospesi sul
ghiacciaio del Brenva. Sino a quì e sembra che
il ritorno non sarà niente altro che una
formalità ma arrivati al Col Maudit ci attende una brutta
sorpresa davanti a noi ci sono già alcuni alpinisti che
attrezzano una corda doppia per una calata di 60 mt., noi
abbiamo solo 50mt di corda e io ho seri dubbi di come fare a
scendere, quì entra in gioco Marco che in fatto di
arrampicata e calate con corde ne sa molto più di me,
infatti lui ha fatto anche il corso. Attrezza la corda per
me, tra la neve sbuca un cordino, dove sarà fissato bho! non
ci resta che fidarci; fà un mezzo barcaiolo e mi comincia a
calare verso la metà cè una sosta tra roccette dove sono
state attrezzate per dividere la discesa, arriva anche Marco
e così mi cala sino alla fine dello scivolo e si finisce
proprio sopra una crepacciata seminascosta dalla neve.
Quì
non ci siamo capiti bene, io da sotto urlavo a Marco ma lui
non mi vedeva e non mi sentiva così restava lì ad aspettare
che mi facessi vivo, non è sceso sinché non è arrivata una
guida francese che con un passa parola gli ha
dato il via libera.
|
Marco è stato
proprio in gamba
è sceso senza esser legato
usando solo la piccozza e le vecchie corde fisse presenti a tratti lungo lo
scivolo. Sembra che la difficoltà maggiore sia passata ma ciò che ci
aspetta non è niente di tranquillo. Ci troviamo su una lunghissima salita,
comunque sempre meglio della discesa che con la neve sfatta dal caldo sole che
oggi picchia implacabile rende il cammino assai precario. Questa salita ci porta
alla spalla del Mont Blanc du Tucul, quando arriviamo in cima vediamo l'
Aguille du Midi e si intravedono gli impianti di discesa e il rifugio Cosmiques,
sembra così vicino, per un attimo pensiamo che ormai ce l'abbiamo fatta ma
guardando verso il basso si vede solo una lunghissima e ripidissima discesa
,
un zigzagare tra seracchi e crepi aperti, che vista l’ora tarda, e la “fama valanghiva”
del pendio, non ci fanno certo stare tranquilli, eccoci ad un altro canale,
questa volta corto, 7-8 mt, Marco mi cala giù sino ad una scaletta che è stata
messa a scavalcare un crepaccio, lui mi segue con la sua solita perizia.
Sono le 15,30 e giungiamo al Col du Midì gli impianti sembrano lì a due passi ma
invece dobbiamo attraversare tutto il plateau e poi risalire per altri 300 mt di
dislivello. Non sappiamo a che ora è l'ultima funivia per Chamonix e cerchiamo
di esser più veloci possibile ma ormai siamo allo stremo, grattiamo il fondo del
barile. La cosa più brutta è stato quando siamo passati sotto il rifugio
Cosmiques e subito dopo sotto l' Aguille du Midi, gli altoparlanti annunciavano
le varie partenze: " accidenti ma perchè non ci hanno messo un ascensore?"
Affrontiamo la salita, ad ogni passo sono dolori da per tutto, attraversiamo dei
seracchi ed eccoci sulla crestina finale che ci porta al tunnel della funivia.
Sono le 17,00 sono 14 ore che siamo in ballo senza contare le ascese dei giorni
prima, siamo sfiniti ma pieni d'orgoglio contentissimi per avere “conquistato”
il tetto d’Europa.
Prima di entrare nella funivia, un ultimo sguardo alle vette che ci circondano: un
pizzico d’orgoglio ci pervade , per un istante ci fa sentire un po’
alpinisti “veri” per l’impresa appena compiuta, per le fatiche affrontate.
L'ultima corsa è alle 18,10, abbiamo più di un'ora!
Scendiamo a Chamonix e da quì prendiamo il treno per la Fayette dove abbiamo lasciato l'auto il giorno
prima e da quì attraverso il traforo del Monte Bianco di nuovo in Italia.
Rifletto su questa mia avventura che sta volgendo al termine. Tornerò a casa con
il ricordo di una compagnia con cui c'è il massimo affiatamento e simpatia ed
avrò a lungo negli occhi la visone di luoghi così particolari, spettatore di
spazi che sfumano nell'infinito e testimone di eventi passati che si sono
rilevati più grandi della mia immaginazione.
Devo ringraziare quel signore che abita molto più in alto di noi che ha vegliato
sulla nostra impresa regalandoci tempo perfetto, arrivati a Chamonix si è
scatenato un bel temporale, una volta in Italia ci sono stati temporali per
tutta la notte.
Un grazie grande grande lo devo al mio Amico Marco, senza di lui non avrei
potuto realizzare il mio sogno, un altro grande ringraziamento và alla signora Lina, la
Giovanna e sua figlia Giulia il loro contributo è stato determinante per la
logistica e punto d'appoggio una volta a valle.
Grazie anche a tutti quelli che ci hanno fatto i complimenti e seguivano a
distanza le nostre avventure e un bel va fà.... a tutti quelli che ci avevano
gufato, alla faccia loro ci siamo riusciti!