Luglio 2010 - Gran Paradiso e Monte Bianco - Il sogno si realizza
 

 
 

Gran Paradiso - Percorso:Pont ( Valsavarenche) , rifugio Vittorio Emanuele, Vetta Gran Paradiso e ritorno a ritroso
Monte Bianco - Percorso:
Nid d'Aigle _ rifugio Gouter - Vetta Bianco - Col Brenva - Col Maudit - Col Maudit - Spalla Tacul - Aiguille du Midi
 

Come Arrivare a Pont in Valsavarenche: 
Autostrada per Genova e successivamente per Voltri, Santià, Aosta. 
Uscire  dall'autostrada  ad Aosta ovest (prima uscita dopo Aosta verso il Monte Bianco), poi seguire le indicazioni per Saint Pierre. Una volta sulla statale, proseguire verso Courmayeur per un paio di Km fino all'indicazione, a destra, per Valsavarenche. A questo punto proseguire seguendo quest'indicazione salendo per circa 20 km fino al fondo della valle, dove c'è la frazione di Pont. La strada è una normale strada asfaltata di montagna, la quota di arrivo è  a 1960 metri.
 
Sentieri per Gran Paradiso :  n° 1

Sentieri per monte Bianco: NN

 


 

Classificazione: AEA solo per escursionisti esperti allenati (Alpinistico)

Dislivello Gran paradiso :   770 metri (al rifugio V. Emanuele) - 1331 dal rifugio alla vetta

Dislivello totale in salita al Monte Bianco:
 2438 dal Nid d'Aigle (2372 mt.) alla vetta (4810 mt.)

Dislivello totale in discesa dal Monte Bianco:  1328 dalla Vetta ( 4810 mt.) - Aiguille du Midì ( 3482 mt.)

 
Tempo di percorrenza per Gran Paradiso:  2,00 ore da Pont al rifugio vittorio Emanuele - 4,15 dal rifugio alla Vetta

Tempo di percorrenza per Monte Bianco_:  3,30 da Nid d'Aigle al rifugio Gouter - 4 ore e mezza dal rifugio alla vetta - dalla vetta all Aiguille du Midì le guide lo danno per 5 ore noi ci abbiamo messo assai di più!!
 

 

 
Acqua per il Gran Paradiso:A Pont e al rifugio Vittorio Emanuele
Acqua per il monte Bianco: Presso i rifugi
 
Punti sosta Gran Paradiso : Rifugio Vittorio Emanuele
 

Punti sosta per Monte Bianco: rifugi Tete Rousse - Gouter - capanna Vallot - Rifugio Cosmique

 

 
Traccia google heart Gran paradiso

Traccia google heart Monte Bianco

traccia gps Gran Paradiso
traccia gps Monte Bianco versante francese

 

Periodo consigliato: Estate, consultare sempre prima le previsioni meteo

Consigli in previsione dell'ascensione al Monte Bianco

 

 

E' da molto molto tempo che ho un sogno, uno di quei sogni che non pensi di realizzare mai ma all'improvviso ecco ti si presenta l'occasione e via ci provi.
Un giorno, circa un anno fà, parlando con il mio amico, e da oggi anche qualcosa di più..... dicevo: parlando con il mio amico Marco Dati gli dicevo che coltivavo un sogno, quello di andare sul Monte Bianco. con mia grande sorpresa mi risponde che anche lui ha questo desiderio e senza tentennamenti mi da la sua parola che con la buona stagione ci andremo, già questo mi rende felice.
Passano i mesi ed eccoci a giungo, decidiamo di partire per la fine del mese ma le cose si mettono male le condizioni meteo sono pessime, rimandiamo alla metà di luglio; ed eccoci finalmente al giorno della partenza.
Sono le ore 07,00 e puntualissimo mi trovo sotto casa di Marco già tutto eccitato, Marco come al solito è in ritardo. A! eccolo carico tra zaino e borsoni vari, carichiamo tutto e via si parte alla volta di Pont in Val D'Aosta, nella Valsavarenche: infatti la nostra prima meta è il Gran paradiso per acclimatarci alle quote che dovremo affrontare poi su Monte Bianco.

LA VALSAVARENCHE

Racchiusa dal massiccio del Gran Paradiso, la Valsavarenche confina con le Valli di Rhemes e Cogne, e alla testata con la Valle Orco con il piano del Nivolet. E’ attraversata dal torrente Savara, che si getta nella Dora Baltea nei pressi di Villeneuve (AO), dopo aver superato foreste e gole rocciose. Grazie alle sue caratteristiche, la valle è rimasta a lungo isolata; l’interesse turistico nei suoi confronti si è sviluppato solo a partire dall’Ottocento, quando il re Vittorio Emanuele II la scelse come meta prediletta delle battute di caccia, di cui era grande appassionato. Qui il sovrano poteva infatti dedicarsi alla caccia al camoscio e allo stambecco, diventati poi simboli del Parco Nazionale del Gran Paradiso, istituito nel 1922. Oltre che da camosci e stambecchi, le montagne della Valsavarenche sono abitate da aquile reali, gipeti e i più grandi rapaci alpini. Il territorio è estremamente vario, con ghiacciai e laghi alpini, che caratterizzano il paesaggio d’alta quota, ed è base di partenza per l’ascesa al Gran Paradiso (m 4061), l’unico 4000 interamente italiano.

La Valsavarenche è attraversata da una strada che dal piccolo comune di Introd, all’imbocco della valle, raggiunge Dégioz, a 1540 metri, ai piedi della Grivola e del Gran Nomenone, e arriva a Pont per terminare proprio alle falde del Gran Paradiso.
Il Parco Nazionale del Gran Paradiso, primo parco nazionale istituito in Italia, abbraccia un vasto territorio di alte montagne, fra gli 800 metri dei fondovalle e i 4.061 metri della vetta del Gran Paradiso.
Il territorio del Parco, a cavallo tra Piemonte e Valle d'Aosta, si estende su circa 70.000 ettari in un ambiente di tipo prevalentemente alpino. Le montagne del gruppo del Gran Paradiso sono state in passato incise e modellate da grandi ghiacciai e dai torrenti fino a creare le attuali vallate. Nei boschi dei fondovalle gli alberi più frequenti sono i larici, misti agli abeti rossi, pini cembri e più raramente all'abete bianco. Man mano che si sale lungo i versanti gli alberi lasciano lo spazio ai vasti pascoli alpini, ricchi di fiori nella tarda primavera. Salendo ancora sono le rocce e i ghiacciai che caratterizzano il paesaggio, fino ad arrivare alle cime più alte del massiccio che toccano i 4.061 metri proprio con quella del Gran Paradiso.
 

 

Eccoci arrivati il tempo di mangiare un panino, lasciamo la macchina sul piazzale dove finisce la strada e siamo già partititi per la nostra meta che oggi è il rifugio Vittorio Emanuele dove alloggeremo in attesa della partenza per la vetta del Gran Paradiso, un quattromila non troppo difficile ma comunque impegnativo. Questa per me è la terza volta che ci provo e spero proprio che non ci siamo intoppi di nessun genere.
Attraversiamo il torrente Savara e imbocchiamo il sentiero n°1 per il Rifugio Vittorio Emanuele, il sentiero è molto battuto e tenuto in buonissimo stato.
Costeggiamo per un tratto il torrente nel
pianoro che conclude il vallone di Seyvaz e dopo circa ottocento metri si sale in un bosco di larici  per poi uscirvi intorno ai 2200 m. Dopo alcuni tornanti in cui la mulattiera si fa più ripida si raggiungono i resti dell'alpe La Chantè a circa 2300 mt e poi attraverso praterie.
Stiamo salendo tranquillamente tra varie amenità e godendo dello spettacolo che ci si pone davanti e pregustiamo già la bellezze che potremo godere quando saremo più in alto, si molto più in alto perché noi almeno stavolta siamo determinati a toccare i 4061metri del Gran Paradiso.
 Arriviamo in meno delle due ore indicate a Pont al rifugio, costruzione in metallo a forma di mezza botte rovesciata  collocato al margine del laghetto di Moncorvè, visibile soltanto all'ultimo,
da dove  si ha anche  una grandiosa veduta sul Ciarforon (m 3.640) e sulla Becca di Monciair (m 3.544).
 Ci presentiamo al gestore e ci da una camera abbastanza accogliente che dovremo dividere con altri tre escursionisti, forse un pò piccola per cinque.
Ognuno prende il suo posto e sistemiamo gli zaini e poi andiamo a scaldarci al sole.
Ma purtroppo il sole vien presto oscurato da nere nuvole che preannunciano pioggia e ben presto eccola che arriva da prima qualche piccola goccia poi giù torrenziale, i fulmini e tuoni fanno veramente paura. E' un fuggi fuggi continuo.
Siamo rinchiusi in camera a guardare dalla finestra il temporale quando c'è la chiamata per la cena, cena che consumiamo voracemente, da non dimenticarsi che siamo con un panino  dall'ora di pranzo.

Ci attardiamo ancora un pò a parlare ma poi decidiamo che forse è meglio se proviamo a dormire, sono le ventuno e ancora non è buio ma dobbiamo sforzarci a riposare perché alle 03,30 la sveglia sarà inclemente.
OK tutti a letto, la notte passa tranquilla senza problemi di russatori o altro.
Io mi sveglio già prima dell'ora fissata, mi affaccio subito alla finestra e  vado subito alla ricerca di qualche stella.
Quale buon auspicio di vedere una stella cadente ci poteva essere? Un pò di stelle ne vedo, una era una stella cadente e per di più su in alto sulla morena già si stanno arrampicando, alcune lampade frontali accese me li indicano.
"Forza svegliati pelandrone andiamo a fare colazione e via partiamo"  Si infatti appena pronti ci accingiamo a partire.

Si parte  alla luce delle pile frontali si sale in direzione Nord Est. Il percorso si snoda tra grandi massi che si superano seguendo gli omini di pietre e la traccia di sentiero. 
Mi sento molto bene  e salgo agevolmente, sono proprio contento mi sento che non avrò problemi a conquistarmi questo 4000. Seguo la traccia e gli "omini " il problema è che ce ne sono ovunque e mi accorgerò poi che vi sono diversi itinerari da poter seguire, va be! Seguo le luci che ho davanti a me

Giriamo poi a destra (direzione est) in un valloncello delimitato dalle ampie morene laterali del ghiacciaio, camminiamo in un canale che raccoglie l'acqua del ghiacciaio, ma ben presto l'acqua che scorreva sotto i nostra piedi si insinua sotto la massa nevosa, neve che non è per niente ghiacciata e per questo primo tratto preferiamo salire senza ramponi, ma eccoci alla la base del vero e proprio ghiacciaio dove calziamo i ramponi, per legarci aspettiamo ancora un attimo, saliamo il primo e ripido pendio che ci permette di accedere alla parte alta della salita, caratterizzata da ampi dossi nevosi più o meno impegnativi a seconda della quantità di neve presente.
Alla sommità di questa prima salita approfittando della presenza di sassi asciutti, indossiamo l'imbrago e ci leghiamo in cordata. Camminiamo abbastanza spediti senza grosse difficoltà ma poi quando si gira verso nord est si arriva ad affrontare la " Schiena d'asino" ripidissima!!
Superiamo questa salita e guadagniamo il Colle della Becca di Moncorcè (3850 m), proseguiamo affrontiamo ancora qualche tratto ripido e con qualche piccolo  crepaccio, costeggiamo poi la base il torrione roccioso del Roc; ed eccoci finalmente alla Crepacciata che sappiamo essere l'ultima salita prima della rocciosa  cresta sommitale. Siamo sulla cima finalmente al terzo tentativo eccomi quì dobbiamo affrontare solo gli ultimi due metri di crestina per giungere alla Madonnina di vetta, ci proviamo, prendiamo l'esposta cengia
 dove l'appoggio per i piedi è limitato ad  alcune decine di centimetri, a strapiombo sul ghiacciaio della Tribolazione, con un salto di 500-600 metri. C'è molto vento e fà molto freddo e la confusione è tanta, i molti che sono saliti quassù voglio passare o tornare indietro contemporaneamente e gli urti sono frequenti inoltre i ramponi non permettono di muoverci agilmente, siamo a pochi metri, vediamo la Madonnina, la saluto da quì ma poi decidiamo di non rischiare di più e torniamo sui nostri passi.
Siamo felici, la prima vetta l'abbiamo conquistata, riprendiamo la via del ritorno, ritorno che si fa più faticoso in quanto la neve ora comincia a sciogliersi e camminare in discesa non è molto agevole. facciamo una sosta per mangiare qualcosa e poi via di nuovo verso il Vittorio Emanuele, Che ben presto raggiungiamo. Mangiamo un piatto di pasta e poi riprendiamo il sentiero che ci riporterà a Pont dove abbiamo l'auto; prossima fermata Morgex,
comune montano in provincia di Aosta con circa millenovecento abitanti. Sorge alle falde meridionali del monte Cormet. In questo paese vive la famiglia, amica di Marco, che ci ospiterà nei momenti di riposo tra un'escursione e un'altra. Ci rechiamo dalla signora Lina, mamma di Giovanna e nonna di Giulia, tutte persone simpatiche e molto cordiali, inoltre con un cuore grande così, soprattutto la signora Lina è molto combattiva e dà l'impressione che sia lei che tiene unita la famiglia. Ci accoglie con calore, anche a me che ancora non conosce, non finisce mai di dirci: " che cosa posso darvi? Un pò d'insalata? del formaggio? che cosa?" Inutile dirgli che non si deve scomodare ma alla fine accettiamo della fresca insalata di campo da lei coltivata. Siamo un pò stanchi e andiamo alla casetta che ci mettono a disposizione; si trova all'alpeggio nella frazione di Arpy.
Arpy è situata a 1690 mt. e appartiene al comune di Morgex e dista 3,15 chilometri dal comune medesimo in provincia d'Aosta.

La casetta è piccola ma molto bella e curata nei minimi particolari, inoltre siamo in uno scenario magnifico. La prima vetta è stata fatta ora non ci resta che riposarci, dopo cena andiamo subito a letto e non tentenniamo ad addormentarci.
Ci svegliamo alle ore 08,30, siamo riposati abbastanza, facciamo colazione e oggi è giornata di riposo. Scendiamo a Morgex e andiamo a trovare la Giovanna nel suo negozio di fotografia. Anche quì grandi feste, l'accoglienza è stata calorosissima.
Rimaniamo un pò con lei ma poi andiamo a fare un pò di spesa  e pranziamo, nel pomeriggio riposiamo per recuperare le forze e in serata prepariamo tutto l'occorrente per affrontare la grande sfida: la salita al Monte  Bianco.
La notte  passa tranquilla, senza quel patema che sorge sempre alla vigilia di un grande impegno, bene così.
Sono le ore 05,00, facciamo colazione e dopo un'ultima occhiata allo zaino per essere sicuri di aver preso tutto partiamo alla volta di Courmayer.
 Trovare il tunnel non è difficile è segnalato ad ogni passo.
Eccoci arrivati al casello: " Buon giorno, biglietto andate e ritorno, grazie " Casellante: " Buon giorno 47 € grazie "
Alla faccia! per
11,6 km questa cifra? Va bè o bere o affogare.

Attraversiamo il tunnel, certo che è una bella opera d'arte: queste sono le notizie che ho trovato su Wikipedia

 

"Il traforo del Monte Bianco (in francese, Tunnel du Mont-Blanc) è un tunnel autostradale che collega Courmayeur, in Valle d'Aosta (Italia), a Chamonix, nel dipartimento francese dell'Alta Savoia, congiungendo la regione Rodano-Alpi alla Valle d'Aosta. Queste due comunità hanno in comune importanti legami socio-linguistici e il fatto di fondare il loro sviluppo economico su di un turismo legato ad un territorio montano unico al mondo. È stato costruito congiuntamente tra Italia e Francia; i lavori di costruzione ebbero inizio nel 1957 e terminarono nel 1965, l'anno dell'apertura. Il traforo è costituito da una galleria unica a doppio senso di circolazione e rappresenta una delle maggiori vie di trasporto transalpino.
La sua lunghezza è di 11,6 km. La parte più lunga si trova in territorio francese: 7.640 m, contro i 3.960 m in territorio italiano. L'altitudine è di 1.381 m sul versante italiano, ai piedi del ghiacciaio della Brenva, mentre raggiunge a metà galleria i 1.395 m, per scendere poi ai 1.271 m sul versante francese, ai piedi del ghiacciaio dei Bossons. Il piano stradale del tunnel non è orizzontale, ma di forma concava per facilitare il deflusso dell'acqua. Rispetto alla frontiera, il traforo passa esattamente sotto la verticale (l'aplomb) de l' Aiguille du Midi, dove lo spessore di copertura granitica raggiunge i 2.480 m, misura record per le gallerie autostradali e ferroviarie. La sua altezza è di 4,35 m e la sua larghezza di 8 m (2x3,5 m per le corsie, e 2x0,5 m di passaggio laterale). Il raddoppio del tunnel, già progettato, non è mai stato realizzato per l'opposizione degli abitanti delle valli interessate, preoccupati per un eccessivo aumento della circolazione dei camion e del conseguente inquinamento. Per una questione di sicurezza, successiva soprattutto all'incidente verificatosi nel 1999, il limite di velocità è stato posto a 70 km/h ed è rigorosamente vietato il sorpasso. È rimasto per lungo tempo il traforo autostradale più lungo al mondo. Dal 1965 al 2007 vi sono transitati 56 milioni di veicoli, con una media giornaliera che negli ultimi anni si aggira a poco meno di 5.000. Dalla riapertura del tunnel, avvenuta nel 2002 dopo gli ammodernamenti seguiti all'incidente catastrofico del 1999, la gestione dell'impianto è stato affidata ad un soggetto unico, il Groupement Européen d’Intérêt Economique du Tunnel du Mont Blanc, sotto il controllo e la supervisione di commissioni ministeriali italiane e francesi.

Usciti dal traforo ci dirigiamo verso Camonix scendiamo poi per circa 17 Km lungo la statale n° 205 in direzione di Ginevra. Arrivati all'abitato di La Fayet si deviamo in direzione di saint Gervais les Bains. In centro del paese si trova la stazione del trenino a cremagliera detto Tramway du Mont Blanc.
Partiamo da quota 580 mt e in poco più di un'ora ci porterà al Nid d'Aigle il nido dell'Aquila, a quota 2372 mt. proprio davanti al ghiacciaio e all' Aiguille de Bionassay.

Monte Bianco
"L'ottava meraviglia del mondo"
davanti ai vostri occhi uno spettacolo infinito di neve e di ghiaccio eterno, il silenzio
della montagna e la purezza dell'aria.
Qui le uniche frontiere che esistono sono sulle carte topografiche.
"

 Dal Nid d'Aigle alla vetta del M. Bianco

Ultimo tratto del tragitto iniziale che si effettua con la cremagliera denominata TRAMWAY DU MONT BLANC fino alla stazione finale del Nid Aigle

Percorso dalla stazione della cremagliera fino al Rifugio del Gouter

Tratto di attraversamento del canale di scivolo considerato molto pericoloso per la caduta di sassi dall'alto. In questo punto si sono già verificati alcuni incidenti mortali. Il traverso (lungo circa 70 m.) era protetto (settembre 1998) con un cavo di sicurezza in acciaio (non particolarmente comodo) ancorato esclusivamente ai suoi due capi.

Tratto finale a ridosso del rifugio abbastanza verticale ma attrezzato con cavi di sicurezza in acciaio

Percorso dal Rifugio del Gouter alla Capanna Vallot e poi alla vetta del Monte Bianco

 

Il treno è bello pieno, moltissimi sono gli alpinisti che vogliono cimentarsi in questa avventura.
Ecco che parte, i primi metri in piano e poi aggancia la cremagliera e su per la ripida salita, attraversiamo grandi abetaie e se mi ricordo bene fà due fermate prima di giungere a destinazione. Apprendiamo che questo treno nel Progetto originale prevedeva di portare i turisti sulla vetta del Monte Bianco, poi più realisticamente, ci si è accontentati di aver raggiunto i 2372 mt del Nid d'Aigle. Una curiosità; ogni elettromotrice ha  una livrea ed un nome diverso: Anne, Marie e Janne, in onore delle tre figlie del proprietario della ferrovia all'epoca della loro messa in servizio, nel 1956.
Ed eccoci finalmente davanti al cartello che ci indica la direzione per il rifugio Gouter, dal cartello apprendiamo che  ci sono 1445 mt di dislivello che ci separano dalla nostra meta.
Prendiamo il sentiero, quì ancora comodo, ci fa piacere vedere degli stambecchi che si crogiolano al sole senza neanche degnarci di uno sguardo, bene significa che qui nessuno li infastidisce; affrontiamo alcuni tornanti e poi ci spostiamo verso sinistra in un largo canale, passiamo davanti ad un baraccamento che non saprei dire se si tratta di un bivacco o cos'altro, siamo su un pianoro, il tracciato gira sulla nostra destra dirigendosi ad una cresta rocciosa salendo progressivamente sino a raggiungere un nevaio dove, dalla parte opposta, sorge il rifugio Tete Rousse a quota 3167m. A noi non interessa andare a questo rifugio e pieghiamo verso la sinistra del nevaio tenendoci più in alto andando a finire ai piedi del bastione roccioso dell'Aiguille du Gouter.
Sapevamo, per aver letto, che ci aspettava un infido canale che spesso scarica sassi dalla sommità ma speravamo che forse chi lo aveva descritto avesse esagerato, ma invece....
Superato il nevaio si risale su roccia e notiamo davanti a noi un gruppetto di alpinisti che urla qualcosa ad  un'altro che è nel mezzo al famigerato Cauloir du Gouter. E' lì nel mezzo e una granaiola di pietre lo sfiora, dire fortuna è riduttivo, questo è più un gran c.
Alla fine decide di abbassarsi e aspetta che la pioggia di pietre termini, miracolosamente ne esce illeso forse le mutande non tanto ma è illeso.
Arriva anche il nostro turno e decidiamo di non legarci per non ostacolarci uno con l'altro e prima Marco e io dopo un attimo partiamo, caschetto in testa e via più velocemente possibile facendo attenzione a non scivolare.
Dall'altra parte inizia la salita su roccia, è anche divertente, almeno all'inizio, se hai addosso tutta l'attrezzatura e la corda arrampicarsi così diventa faticoso. Comunque la salita è si ripida ma facilitata dai molti appigli e scalettamenti che vi sono, inoltre la roccia è molto solida e stabile, nei punti un pò più esposti ci sono cavi d'acciaio per una sicurezza maggiore. La vera difficoltà sta nel fatto che i molti che scendono le più delle volte non è che si spostano a facciano a turno nel proseguire, no! Tutti hanno fretta e ti passano sopra o letteralmente. Dobbiamo fare anche attenzione a non fare cadere sassi che potrebbero causare incidenti molto gravi a chi è sotto di noi. Siamo ora in un tratto finale dove aumenta la pendenza sempre attrezzato con cavi d'acciaio e in breve siamo finalmente al Rifugio del Gouter a quota 3817( foto a lato). Giungiamo appena in tempo per pranzare, infatti poco dopo la cucina chiude.
Stiamo bene non ostante la quota e dopo mangiato andiamo fuori per ammirare il panorama, panorama bello che dai ghiacciai scende giù sino a valle ma dopo un'ora che hai solo questa visuale diventa un pò noioso, il restante del tempo lo passiamo dentro il rifugio pieno all'inverosimile oltre la sua capienza. Siamo sistemati nell'annesso al rifugio, sopra i bagni ( esterni); a proposito di bagni questi hanno la particolarità di essere a vento e cioè con scarico diretto sul vertiginoso abisso sottostante e quindi attenzione agli oggetti nelle tasche, la forma dei sanitari e simile a un tronco di cono rovesciato con foro molto ampio.
Tra dentro e fuori il tempo passa, inspiegabilmente riusciamo rocambolescamente anche a telefonare a casa con il cellulare, sono le 18,00 e ci servono la cena, un pò scarsa ma che ci vuoi fare?  Facciamo di necessità virtù.
Appena cenato ce ne andiamo a letto, è un pò strano andare a letto alle 19,00 con ancora la luce del sole, Marco si addormenta subito, del resto lui dorme da tutte le parti, per me il mio orologio interno mi dice che non è questa l'ora di dormire e non riesco a chiudere occhio per un bel pò. Poi passo la nottata in un continuo sogno veglia. Finalmente suonano le sveglie puntate alle ore 1,00, ci siamo finalmente partiremo alla volta della cima delle cime in Europa. Prima dobbiamo fare colazione ed entriamo nel rifugio dove i tavoli sono occupati da quanti vi hanno dormito sopra, sotto e sulle panche. Un gestore battendo sui tavoli li sveglia neanche tanto gentilmente dicendogli di sgombrare e lasciare liberi i tavoli per chi è a mezza pensione. Fatta colazione ci prepariamo: ghette, ramponi, imbrago, piccozza e corda: e Marco dov'è? Aspetto e cerco di trovarlo ma non lo vedo, che fine avrà fatto? A! eccolo che arriva: " ma dove eri finito?" risposta: " Ho avuto problemi con le ghettine" BHA!  Ci leghiamo e finalmente si parte, sono le tre.

 

 

Noi abbiamo percorso la seconda via e poi la prima via ( in rosso)

Partiamo alla luce delle frontali e alzando e lo sguardo noto una lunga fila di piccole luci che si snoda su per il pendio, alcune sono così in alto che si confondono con il celo stellato. Teniamo un passo regolare il più possibile dimenticandoci la cadenza veloce che teniamo sulle nostre Apuane.  Percorriamo un breve tratto pianeggiante vediamo che alcuni hanno dormito in tenda, chi sà come sono stati con quel ventaccio che ha soffiato tutta la notte?
Ma eccoci arrivati all'Aiguille du Gouter. Diamo un'occhiata verso l'alto e molto ma molto in alto una fila interminabile di piccole luci ci dice che anche noi dovremo affrontare questa salita; infatti risaliamo il versante nord ovest del Dome du Gouter(4304m), ne tralasciamo la vetta abbassandoci leggermente e raggiungiamo il Colle del Dome du Gouter.
Intanto all'orizzonte c'è un'esplosione di colori: è l'aurora. Laggiù verso est tutti i colori dello spettro sono concentrati ,
qualche puntino luminoso nel cielo blu intenso, un leggero bagliore verso est, alcune nuvole che si addensano all'orizzonte e che lentamente iniziano a colorarsi con i colori del fuoco, uno spettacolo unico magico e profondo.
Ora proseguiamo il leggera discesa e attraversiamo un altopiano
fino alla capanna Vallot (4362m) un rifugio non gestito per le emergenze che comunque viene anche usato normalmente per la salita finale alla vetta. Davanti a noi una ripida cresta ma a questo punto non ci importa più di faticare arrancando, sappiamo che siamo a portata di mano della vetta. L'affrontiamo decisamente e ad ogni passo ci avviciniamo sempre più a quello che è stato un sogno per tanti anni, forse non credevamo neanche noi di arrivarci ma invece eccoci quì a due passi a salire sul tetto d'Europa.
Ancora uno strappo e ora la cresta si fà via via sempre più ampia sino a diventare un largo spiazzo dove poter ammirare l'incredibile panorama che abbiamo davanti a noi a quota 4810 mt. Sono le ore 07,30 ci abbiamo messo 4ore e 30 le guide ne prevedono 5, niente male!!
Eccezionale veramente, la sensazione di essere sul punto più alto del nostro continente è amplificata dall’immediata sensazione di essere circondati da cime visibilmente più basse. Appena giunti sulla sommità non ho potuto fare a meno di ringraziare chi da ben più in alto ha permesso che potessi esser quassù poi un lungo abbraccio con Marco ci ha fuso in questa magica avventura che abbiamo compiuto, non cè stato bisogno di tante parole è bastato quel grande e caldo abbraccio per trasmetterci tutte le più intime sensazioni che provavamo. Tiro fuori la bandiera della nostra nazione e orgogliosamente ci facciamo immortalare in una fotografia sulla vetta più alta d'Europa. Tutti questi anni trascorsi a meditare su questa salita se era o no il caso di affrontarla, le male lingue che sotto sotto speravano che non ce la facessimo, la fatica, il freddo non hanno potuto niente contro la grande determinazione che avevamo dentro di noi e che per niente al mondo ci avrebbe fatto desistere da arrivare a due passi da Dio.
Ma la felicità è sempre effimera: non dobbiamo perdere tempo nella discesa, se vogliamo arrivare al Col du Midì per l’ultima funivia.
La discesa verso il Col e l'Aiguille du Midi lo faremo seguendo la pista che sale al Monte Bianco per la Via dei "3 mont blanc": " Mont Blanc du Tucul, Moint Blanc du Maudit e Mont Banc".
Dalla cima scendiamo verso sinistra sul pendio NNE per un tratto abbastanza ripido si arriva ad un vasto plateau, quì vediamo arrivare diverse cordate e sembrano tutti stremati, alcuni si accasciano a terra, ci guardiamo e i nostri sguardi dicono: " ma che cosa ci aspetta?"
Lo scopriremo presto, una ripida discesa del Mur de Cote con pendenza di 35° ci porta al plateau del Col di Brenva, facciamo attenzione a tersi sulla sinistra per non passare sotto degli imponenti cornicioni che sono sospesi sul ghiacciaio del Brenva. Sino a quì e sembra che il ritorno non sarà  niente altro che una formalità ma arrivati al Col Maudit ci attende una brutta sorpresa davanti a noi ci sono già alcuni alpinisti che attrezzano una corda doppia per una calata di 60 mt., noi abbiamo solo 50mt di corda e io ho seri dubbi di come fare a scendere, quì entra in gioco Marco che in fatto di arrampicata e calate con corde ne sa molto più di me, infatti lui ha fatto anche il corso. Attrezza la corda per me, tra la neve sbuca un cordino, dove sarà fissato bho! non ci resta che fidarci; fà un mezzo barcaiolo e mi comincia a calare verso la metà cè una sosta tra roccette dove sono state attrezzate per dividere la discesa, arriva anche Marco e così mi cala sino alla fine dello scivolo e si finisce proprio sopra una crepacciata seminascosta dalla neve.
Quì non ci siamo capiti bene, io da sotto urlavo a Marco ma lui non mi vedeva e non mi sentiva così restava lì ad aspettare che mi facessi vivo, non è sceso sinché non è arrivata una guida  francese che  con un passa parola gli ha dato il via libera.


La riga rossa in alto evidenzia i 60 metri del ripido pendio del Mont Maudit,  scesi con la corda

Marco è stato proprio in gamba è sceso senza esser legato usando solo la piccozza e le vecchie corde fisse presenti a tratti lungo lo scivolo. Sembra che la difficoltà maggiore sia passata ma ciò che ci aspetta non è niente di tranquillo. Ci troviamo su una lunghissima salita, comunque sempre meglio della discesa che con la neve sfatta dal caldo sole che oggi picchia implacabile rende il cammino assai precario. Questa salita ci porta alla spalla del Mont Blanc du Tucul, quando arriviamo in cima vediamo l' Aguille du Midi e si intravedono gli impianti di discesa e il rifugio Cosmiques, sembra così vicino,  per un attimo pensiamo che ormai ce l'abbiamo fatta ma guardando verso il basso si vede solo una lunghissima e ripidissima discesa , un zigzagare tra seracchi e crepi aperti, che vista l’ora tarda, e la “fama valanghiva” del pendio, non ci fanno certo stare tranquilli, eccoci ad un altro canale, questa volta corto, 7-8 mt, Marco mi cala giù sino ad una scaletta che è stata messa a scavalcare un crepaccio, lui mi segue con la sua solita perizia.
Sono le 15,30 e giungiamo al Col du Midì gli impianti sembrano lì a due passi ma invece dobbiamo attraversare tutto il plateau e poi risalire per altri 300 mt di dislivello. Non sappiamo a che ora è l'ultima funivia per Chamonix e cerchiamo di esser più veloci possibile ma ormai siamo allo stremo, grattiamo il fondo del barile. La cosa più brutta è stato quando siamo passati sotto il rifugio Cosmiques e subito dopo sotto l' Aguille du Midi, gli altoparlanti annunciavano le varie partenze: " accidenti ma perchè non ci hanno messo un ascensore?"
Affrontiamo la salita, ad ogni passo sono dolori da per tutto, attraversiamo dei seracchi ed eccoci sulla crestina finale che ci porta al tunnel della funivia.
Sono le 17,00 sono 14 ore che siamo in ballo senza contare le ascese dei giorni prima, siamo sfiniti ma pieni d'orgoglio contentissimi per avere “conquistato” il tetto d’Europa.
Prima di entrare nella funivia, un ultimo sguardo alle vette che ci circondano: un pizzico d’orgoglio ci pervade , per un istante ci fa sentire un po’ alpinisti “veri” per l’impresa appena compiuta, per le fatiche affrontate.
L'ultima corsa è alle 18,10, abbiamo più di un'ora!
Scendiamo a Chamonix e da quì prendiamo il treno per la Fayette dove abbiamo lasciato l'auto il giorno prima e da quì attraverso il traforo del Monte Bianco di nuovo in Italia.
Rifletto su questa mia avventura che sta volgendo al termine. Tornerò a casa con il ricordo di una compagnia con cui c'è il massimo affiatamento e simpatia ed avrò a lungo negli occhi la visone di luoghi così particolari, spettatore di spazi che sfumano nell'infinito e testimone di eventi passati che si sono rilevati più grandi della mia immaginazione.
Devo ringraziare quel signore che abita molto più in alto di noi che ha vegliato sulla nostra impresa regalandoci tempo perfetto, arrivati a Chamonix si è scatenato un bel temporale, una volta in Italia ci sono stati temporali per tutta la notte.
Un grazie grande grande lo devo al mio Amico Marco, senza di lui non avrei potuto realizzare il mio sogno, un altro grande ringraziamento và alla signora Lina, la Giovanna e sua figlia Giulia il loro contributo è stato determinante per la logistica e punto d'appoggio una volta a valle.
Grazie anche a tutti quelli che ci hanno fatto i complimenti e seguivano a distanza le nostre avventure e un bel va fà.... a tutti quelli che ci avevano gufato, alla faccia loro ci siamo riusciti!

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    Foto escursione Gran paradiso
    Foto escursione monte Bianco


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